È uscito lo scorso 14 giugno il terzo album degli Houstones, intitolato “A+C” e uscito con le etichette indipendenti Soppressa Records, Collettivo Dotto e Entes Anomicos. Un disco che sa di consacrazione per la band attualmente attiva in Svizzera, che con questo ultimo lavoro si pone come obiettivo quello di ampliare il proprio raggio di movimento in termini di generi. Se nei precedenti lavori, infatti, il focus era orientato verso un alternative-rock di stampo classico, in “A+C” gli Houstones si orientano verso qualcosa di più indipendente e originale, verso qualcosa che definisca in maniera più chiara e limpida un personale marchio di fabbrica, incentrato su sperimentazioni e connubi di sfumature.
L’alternative-rock, pur non perdendo la sua natura e i suoi capisaldi lungo la tracklist composta da otto inediti, viene modellato diversamente, in modo meno austero e rigoroso, dandogli quel tocco di imprevedibilità che lo porta a diventare una sorta di via di mezzo tra indie-rock o sperimental-rock. Un punto in cui convergono diverse influenze e stili che ne definiscono così un contesto interessante e di valore, quantomeno dal punto di vista dell’analisi, anche per i non addetti ai lavori.
Quando parliamo delle influenze presenti in “A+C” ci riferiamo ad esempio alla presenza di riff che ricordano lo stoner, a dei giri armonici propri del pop o dello shoegaze, a diverse linee melodiche che si avvolgono tra di loro per poi liberarsi, in un crescendo e diminuendo che rende l’intero ascolto semplice e gradevole. Quello degli Houstones (che abbiamo ospitato nell’ultima puntata della nostra trasmissione radiofonica “The Independence Play”) è un album che ci ha decisamente convinto, sia per qualità che per contenuti, perché si colloca in un genere di largo uso, ma che riesce a partorire qualcosa di originale, a offrire uno spunto di novità senza cadere nei soliti canoni compositivi dell’alternative-rock.
Manuele Foti -ilmegafono.org
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