Gennaio 1983. Dopo il licenziamento dal “Giornale del Sud”, il giornalista, scrittore, drammaturgo e sceneggiatore Giuseppe Fava fonda e dirige “I Siciliani”, una rivista, edita a Catania, che si occupa di inchiesta e di contrasto alle mafie. “La mafia è dovunque, in tutta la società italiana, a Palermo e Catania, come a Milano, Napoli o Roma, annidata in tutte le strutture come un inguaribile cancro, per cui l’ordine di uccidere Dalla Chiesa può essere partito da un piccolo bunker mafioso di Catania, o da una delle imperscrutabili stanze politiche della capitale. E dietro la mafia, quel lampo sanguinoso ha fatto intravedere altri problemi immensi che per decenni sono stati considerati soltanto tragedie meridionali, cioè, secolari, inamovibili, distaccate dal corpo vivo della Nazione e di cui semmai il Paese pagava il prezzo di una convivenza, e che invece appartengono drammaticamente a tutti gli italiani, costretti a sopportarne il danno, spesso il dolore, talvolta la disperazione”. Con queste parole, Pippo Fava apriva il suo editoriale, nel gennaio 1983.

Il 5 gennaio 1984, esattamente un anno dopo, veniva assassinato a Catania nei pressi del Teatro Stabile, dove era  andato a prendere la nipotina Francesca, che frequentava un corso di recitazione teatrale. Due sicari mafiosi gli spararono alle spalle. Aveva 59 anni. Nove anni dopo, l’8 gennaio 1993 veniva ammazzato un altro giornalista siciliano, Beppe Alfano. La sua attività giornalistica si era rivolta soprattutto contro uomini d’affari, mafiosi latitanti, politici, amministratori locali e massoneria. Aveva raccontato per anni le lotte fra le cosche mafiose locali. Fu ucciso  intorno alle ore 22:00, colpito da tre proiettili calibro 22 mentre era fermo alla guida della sua Renault 9 amaranto in via Marconi, a Barcellona Pozzo di Gotto. Aveva 47 anni.

Due giornalisti, due uomini impegnati a combattere, con il loro lavoro, cosa nostra. Due caratteri diversi, due pensieri politici diversi, con lo stesso identico obiettivo: denunciare, mettere in luce i crimini delle mafie e i legami tra le mafie, il mondo politico, i grandi imprenditori e la massoneria. Le inchieste di Pippo Fava diventano casi politici e giornalistici nazionali: dagli attacchi alle basi missilistiche in Sicilia alla denuncia continua della presenza di cosa nostra nella società italiana, fino ad arrivare ad una inchiesta-denuncia sulle attività illecite di quattro imprenditori catanesi, nell’articolo “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”. Pippo Fava fa nomi e cognomi: Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo, Francesco Finocchiaro. Tra gli altri nomi spunta anche quello di Michele Sindona e del legame tra i quattro “cavalieri del lavoro” e Sindona con il boss Nitto Santapaola.

Le inchieste di Beppe Alfano sul quotidiano La Sicilia, invece, stavano facendo tremare cosa nostra perché il giornalista, con i suoi pezzi, stava svelando alcuni legami tra mafia, imprenditoria e politica. E secondo alcuni, era molto vicino a scoprire che il boss catanese Nitto Santapaola (ancora lui) aveva la sua rete di protezione proprio a Barcellona Pozzo di Gotto. Il 5 e l’8 gennaio 2023 sono stati ricordati i due giornalisti: Pippo Fava a Catania, Beppe Alfano a Barcellona Pozzo di Gotto. Nel 2011, Sonia Alfano, figlia di Beppe, ha pubblicato un libro intitolato “La zona d’ombra. La lezione di mio padre ucciso dalla mafia e abbandonato dallo Stato”, edito da Rizzoli. Tuttavia, il libro è attualmente fuori commercio. Ma è stato annunciato che verrà ripubblicato da Ossigeno nelle prossime settimane.

In occasione del 30° anniversario della morte del giornalista, la figlia ha espresso il suo rammarico perché la sua famiglia si è sentita spesso isolata: “Non posso dimenticare che spesso noi familiari ci siamo sentiti soli. Mi chiedo ancora: perché il nostro Paese, quello per cui mio padre ha sacrificato la vita, non sente il dovere di tramandare la sua memoria? Perché la mia famiglia, tra le famiglie delle vittime di mafia, è una delle più isolate?”.

Anche Claudio Fava, figlio di Pippo, porta avanti, attraverso la sua attività giornalistica e politica, la memoria e l’esempio di suo padre, insieme alla Fondazione Giuseppe Fava e agli ex collaboratori della rivista “I Siciliani”.

Fava e Alfano. Due uomini, due giornalisti che, come il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes Saavedra, furono rapiti da quella visionaria ostinazione al cambiamento, che fa leggere la realtà con altri occhi e porta a combattere con probità, una parola forse in disuso, ma che ha rappresentato questi due uomini, con un costume morale sempre improntato all’onestà. Tornano alla mente due frasi del Don Chisciotte che ben si addicono a Pippo Fava e Beppe Alfano; la prima, rivolta a tutti noi, piccoli Sancho Panza che sperano in un mondo più sano, l’altra rivolta ai mafiosi: “Sappi, Sancho, che un uomo non vale più d’un altro se non fa più d’un altro”; “Dio sopporta i cattivi, ma non poi sempre sempre”.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org