A Mezzojuso, in provincia di Palermo e a pochi passi da Corleone, c’è una vecchia tipologia di mafia che ha ripreso a far paura, tornando ad essere protagonista dopo lunghi anni di apparente silenzio. Stiamo parlando della cosiddetta mafia dei pascoli, quella che distrugge quantità enormi di terre coltivabili e, soprattutto, distrugge i sogni della gente che crede ancora nella legalità e nell’amore per la terra e per l’ambiente. Proprio a Mezzojuso, infatti, le sorelle Napoli (Irene, Ina e Anna) sono balzate agli onori della cronaca in queste ultime settimane a causa dell’ennesima angheria subita per mano di alcuni criminali della zona.

Una zona che non ha bisogno di ulteriori descrizioni: qui, infatti, è dove Bernardo Provenzano teneva le riunioni di mafia ed è qui che sono nate le persone più fidate di uno dei boss più pericolosi e sanguinari della mafia, rendendo così l’intera area una vera e propria base logistica (e non solo) di cosa nostra.

Le tre sorelle, proprietarie di un’azienda agricola di ben 90 ettari, hanno raccontato, nel corso di un servizio realizzato da Repubblica (guarda qui il video), di aver subito numerosi raid dal 2006 ad oggi; una situazione “diventata insostenibile” che le ha portate a denunciare per la prima volta, nel 2014, quanto accaduto negli anni. Il modus operandi dei criminali è sempre lo stesso: la distruzione dei campi di grano avviene con l’utilizzo di numerose mucche, capre e cavalli che, per natura, sono portati a mangiare e calpestare quanto va trebbiato. Successivamente, quel poco che le sorelle sono riuscite comunque a raccogliere è stato distrutto e dato alle fiamme nel corso di terribili raid (l’ultimo dei quali è avvenuto proprio lo scorso luglio), rendendo così ancor più difficile la possibilità di ottenere un introito economico.

Insomma, lo scopo non poteva che essere uno solo: causare alle sorelle Napoli problemi finanziari ed economici al fine di costringerle a vendere l’attività. In effetti è quello che effettivamente è stato proposto alla famiglia Napoli. Secondo quanto raccontato, infatti, alcuni esponenti dei clan locali, di quella che chiamano mafia dei pascoli, avrebbero offerto 5000 euro annui per la gestione dell’azienda. Un’offerta, questa, che però è stata prontamente respinta e rispedita al mittente, provocando nei mafiosi la rabbia ed il senso di vendetta ancor più grandi nei confronti delle sorelle. È per questa ragione che, a seguito dell’ennesimo sopruso messo in atto nei loro confronti, le tre hanno deciso di rivolgersi all’associazione Addiopizzo ed hanno da poco contattato anche Libera, chiedendo loro di prendersi cura della gestione e della protezione della stessa azienda.

Una decisione, questa, che potrebbe apparire come un passo disperato, un gesto di paura, ma che in realtà è soltanto una sincera e sacrosanta richiesta di supporto ed è soprattutto il risultato dell’abbandono totale non solo delle istituzioni, ma anche della gente del posto, degli stessi concittadini: “Non è voluto venire nessun operaio a lavorare da noi con la sua trebbiatrice”, ha affermato Ina nel corso dell’intervista a Repubblica. La stessa ha inoltre raccontato che altri agricoltori della zona avrebbero ricevuto le stesse intimidazioni, ma nonostante ciò “nessun altro si è fatto avanti e in paese in troppi ci guardano male perché ci siamo rivolti ai carabinieri”.

Un fuggi fuggi generale che ha messo in serio pericolo la vita delle sorelle, colpevoli di essere tre donne coraggiose, oneste, desiderose di mantenere integra la propria dignità e combattere per il futuro della propria terra.

Si tratta di un destino comune condiviso con tanta altra gente onesta e il pensiero non può che andare ad Emanuele Feltri, il giovane agricoltore della valle del Simeto, in provincia di Catania, per anni vittima di vere e proprie intimidazioni mafiose contro la sua azienda. E non solo: bisogna anche citare l’attacco dello scorso anno (leggi qui) nei confronti del presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, reo anch’egli di voler salvaguardare il benessere di uno degli spazi verdi più belli e purtroppo maggiormente a rischio dell’intera regione.

“Non avranno mai le nostre terre”, è quello che hanno affermato le sorelle Napoli ed è quello che tanta altra gente ha cercato di affermare nel corso degli ultimi anni. “La paura c’era – afferma Irene – e abbiamo pensato di vendere e andare via, ma poi ho detto: se tutti facciamo così la Sicilia a chi resta in mano?”. Questo è un grido forte e sincero di dignità, di amore per la propria terra e di lotta. Un grido che va ascoltato e sostenuto perché la Sicilia non può e non deve restare nelle mani di pochi mafiosi in grado di minare la libertà degli onesti e rovinare la bellezza di un territorio così incantevole e unico.

Giovanni Dato -ilmegafono.org