La storia delle sorelle Napoli è tornata al centro della cronaca dopo che ignoti, la scorsa domenica, hanno incendiato la tomba di famiglia in quel di Mezzojuso, in provincia di Palermo. In molti ricorderanno, senz’altro, la denuncia di Irene, Ina e Anna di cui abbiamo parlato qualche anno fa anche su queste pagine (leggi qui). Da allora, purtroppo, la situazione non è cambiata. Ma chi c’è dietro un atto simile? E quale potrebbe essere il movente? La risposta è presto data: è opera della criminalità organizzata. Questa certezza è data dal fatto che furono proprio le tre sorelle Napoli, già nel 2014, a denunciare per la prima volta la presenza di una vera e propria “mafia dei pascoli” esistente anche nella loro zona. Una mafia che per certi versi ricorda quella classica, un po’ più datata, ma che con quella più moderna ha in comune l’efferatezza e una potente capacita intimidatoria.

Le tre sorelle sono infatti proprietarie di un’azienda agricola di famiglia che non si è voluta piegare alle pressioni e alle minacce mafiose. Alcuni clan locali, sin dal 2006, avevano provato a rilevare a più riprese l’azienda (anche a fronte di offerte cospicue), senza però mai riuscirci. All’ennesimo rifiuto, purtroppo, la criminalità ha reagito come meglio le riesce: appiccando incendi, distruggendo i materiali di lavoro, uccidendo gli animali. Insomma, veri e propri raid che hanno rischiato di mettere in ginocchio il futuro e la stabilità economica delle sorelle Napoli e della loro azienda. In occasione delle elezioni comunali svoltesi la scorsa settimana a Mezzojuso (comune, tra le altre cose, sciolto proprio per mafia), un incendio sarebbe stato appiccato nei pressi della tomba di famiglia, danneggiandola in più punti. Quel che è grave, però, al di là dei danni strutturali, è il significato che si cela dietro un gesto del genere.

Il danno morale, infatti, fa molto più male di quello economico. Non solo: si tratta dell’ennesima prova di forza da parte di delinquenti che, senza alcuna remora, hanno deciso di arrecare problemi e mettere in difficoltà tre donne oneste. Tre donne la cui unica colpa sarebbe quella di non essersi piegate, di aver detto No alla mafia e alle sue leggi criminali. E che per questo devono pagare in qualche modo. A tutti i costi. “Le mie assistite sono sbalordite e traumatizzate per il gesto vigliacco di profanazione – ha affermato in un’intervista l’avvocato delle sorelle Napoli, Giorgio Bisagna – ma se questo messaggio vuole essere un ‘salto di qualità’ dopo l’ondata dei danneggiamenti dei terreni, lo respingono con fermezza al mittente”.

“Esprimo la mia piena e incondizionata solidarietà alle sorelle Napoli per il vergognoso atto intimidatorio perpetrato nei loro confronti – ha affermato l’assessore regionale ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana, Alberto Samonà -, se qualcuno pensa, con simili odiosi atti, di far tornare le lancette indietro nel tempo si sbaglia”. “La mafia non vincerà mai – ha continuato – e le istituzioni devono fare quadrato sempre di più, per affermare i valori della trasparenza e della legalità”. Parole di solidarietà che però non servono a molto nel concreto, mentre sarebbe più utile sapere dall’assessore cosa ha fatto il governo regionale per contrastare la potenza che viene esercitata dalla mafia sulle campagne e anche su boschi e riserve (vedi questione incendi, nuovamente nel pieno). Una questione tanto annosa, questa, quanto apparentemente irrisolvibile. Sicuramente non con parole e annunci.

Giovanni Dato -ilmegafono.org