Il caldo e il vento in Sicilia hanno finalmente dato tregua negli ultimi dieci giorni. La pioggia è caduta abbondante sull’isola, e purtroppo non sono mancati fenomeni drammatici come la tromba d’aria che ha colpito Pantelleria. L’arrivo delle piogge, tuttavia, ha scoraggiato i piromani e stoppato, almeno temporaneamente, gli incendi dolosi. Ma l’allerta è ancora altissima, soprattutto in considerazione del ritorno a temperature estive previsto nei prossimi giorni. Il 2021 è stato un incubo per la Sicilia sul fronte del fuoco. Una vera e propria guerra, iniziata a marzo e mai finita. Settemila incendi, 78.000 ettari di terreno andati in cenere, pari al 3% della superficie regionale e a quasi la metà del territorio bruciato in tutta Italia. Una tragedia, un patrimonio naturale dissipato, lasciato senza tutele, indifeso, davanti alla mano dei criminali e di chi cova interessi speculativi ed economici a scapito dell’ambiente e del futuro stesso della Sicilia.
La zona sud-orientale è stata quella più colpita, ma le fiamme hanno attraversato tutta l’isola, da est a ovest, da nord a sud. In tutto questo, la Regione Sicilia non ha saputo fare nulla. Nessuna prevenzione, nessun intervento serio, nessuna predisposizione di attività di controllo concrete. Ha perfino autorizzato l’anticipo della caccia, infischiandosene della condizione di molti animali già decimati o storditi dal fuoco. Dopo lo stop del Tar, il governo regionale ha persino prodotto un nuovo atto e un nuovo calendario per aggirare lo stop. Per fortuna però il Tar ha fermato anche il nuovo decreto. Per tutti questi meriti, il presidente della Regione, Nello Musumeci, è stato recentemente nominato commissario per l’emergenza incendi. Un controsenso tutto italiano e molto siciliano.
Intanto, la Commissione regionale antimafia continua a indagare sui roghi, nella consapevolezza che siamo di fronte a una strategia chiara e ben definita. Una strategia criminale, rispetto alla quale la magistratura ordinaria fino ad ora non ha mostrato grande interesse. Pochi gli arresti, più che altro concentrati sulla manovalanza e su qualche pastore, ancor meno gli approfondimenti sui registi, sugli interessi più alti. Si parla di pastori, di mafia dei pascoli, perfino della antica storia dei lavoratori precari. Si parla molto meno di mafia, di braccia e accendini al soldo di qualcuno che dal fuoco ha tutto da guadagnare. In Sicilia esistono molti soggetti imprenditoriali che hanno progetti importanti e che potrebbero essere avvantaggiati dal cambio di destinazione di un terreno ormai senza valore, perché bruciato o privato della vegetazione motivo della sua tutela. Questo ancor più in una regione dove la gran parte dei comuni si dimentica di applicare la legge 353/2000 e di mappare i terreni bruciati vietando per 10 anni il loro utilizzo per qualsiasi attività.
Le notizie trapelate dalla Commissione antimafia circa il collegamento dei roghi con il settore fotovoltaico sono allarmanti. Poi ci sarebbe un altro punto, che al momento è solo un sospetto, non una certezza, ma che andrebbe considerato a fondo, visto quanto accaduto in passato e quanto emerso con forza in Sardegna (leggi qui). Una storia già vista, con il servizio antincendio gestito da anni (15 per l’esattezza) dallo stesso cartello di aziende. Il servizio di spegnimento con mezzi aerei aggiudicato da questo cartello, per anni, con appalti e offerte al ribasso. Nessun concorrente e un meccanismo oliato, con il denaro assicurato per il servizio, al quale si aggiunge quello per le ore di volo extra. In breve, dunque, più sono gli incendi più le aziende guadagnano. Ma la Sardegna è un caso isolato? No. In Italia il servizio è gestito sempre da privati. E ogni ora di volo extra ha un costo.
Ne avevamo parlato qualche mese fa (leggi qui), spiegando anche l’esborso che comporta per lo Stato e lanciando una petizione su Change.org per chiedere la nazionalizzazione della gestione. Lasciare infatti ai privati la gestione logistica e soprattutto operativa innesca un meccanismo pericoloso, che non garantisce trasparenza e non migliora l’efficacia degli interventi. Come dimostra quanto accaduto nel 2015 in Sicilia, dove era già intervenuta la magistratura: 4 società riunitesi in una ATI, vennero accusate di truffa aggravata a danno dello Stato, falsità in atto pubblico, turbata libertà degli incanti, inadempimenti di contratti di pubbliche forniture. Ai fini della acquisizione del bando, le aziende avrebbero dichiarato di essere in possesso dei mezzi (in quel caso elicotteri) necessari agli interventi di spegnimento, mezzi che invece erano impegnati in altre regioni. Quando venivano chiamati per intervenire, la loro assenza veniva giustificata con avarie e problemi meccanici. Una truffa che, oltre a sottrarre denaro pubblico, ha messo a serio rischio l’integrità del patrimonio boschivo siciliano.
E oggi come funziona il servizio? Lo riassume molto bene il collega Simone Olivelli su MeridioNews (leggi qui), raccontando di come la Sicilia si affidi, per gli elicotteri, al noleggio con fondi regionali; mentre, per gli aerei, ci si affida ai Canadair dello Stato, ma gestiti in appalto da una multinazionale, la Bebcock. Anche in questo caso, per contratto, i privati devono garantire un tot di ore di volo (3500), mentre per quelle extra ricevono altro denaro a parte. Quest’anno in Sicilia, come spiega MeridioNews, i Canadair sono stati protagonisti 503 volte, con 5734 lanci. Numeri che però non corrispondono alle esigenze reali, visto che spesso i velivoli non sono intervenuti, malgrado le segnalazioni, perché (storia vecchia) impegnati in altre regioni.
Ma soprattutto viene segnalata la sproporzione tra le esigenze dei territori e la frequenza dei voli. A Catania e in Sicilia orientale, le più colpite dai roghi, i Canadair sono intervenuti molto meno rispetto a Palermo, colpita in misura minore. Tutte incongruenze, stranezze che non equivalgono ad accuse, ma di sicuro, visto anche quanto emerso in Sardegna, dovrebbero spingere chi di dovere a indagare a fondo e lo Stato a rispondere e a mettere fine ai sospetti, iniziando un percorso di trasparenza che può partire solo dalla nazionalizzazione di un servizio che non può in alcun modo essere gestito secondo logiche di profitto e di mercato. Perché con il fuoco non si gioca e nemmeno con la salute dell’ambiente e dei cittadini e con il futuro della nostra terra.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
Complimenti per l’articolo. Sono un dottore forestale nato in Calabria.
Avrei piacere a seguire altre inchieste simili, che vadano a fondo in questa controversa questione.