Evoluzione, sperimentazione, libertà: con queste tre parole è possibile provare a definire quello che è il percorso musicale degli She Likes Winter, band legnanese in uscita con il primo album full-lenght, tre anni dopo il loro Ep d’esordio. Gli She Likes Winter sono l’emblema di una evoluzione passata attraverso alcuni cambi di formazione coincisi con la scelta di nuove strade musicali o comunque di sfumature diverse. Alla vocazione inizialmente strumentale ed essenzialmente post-rock, hanno aggiunto la voce e aperto spazi all’elettronica, senza tuttavia perdere la loro identità originaria. L’album “Bruises”, uscito lo scorso 27 aprile con l’etichetta (R)esisto, è la sintesi perfetta di questa loro evoluzione, di questo primo e ampio capitolo della loro storia musicale (come ci ha detto Matteo Valsecchi, chitarrista del gruppo, nell’ultima puntata di “The Independence Play”, la nostra trasmissione radiofonica).
“Bruises” è un disco composto da otto tracce che descrivono molto bene le tante sfumature della musica degli She Likes Winter. Otto tracce, sei in lingua inglese, una in italiano (Gisele) e una strumentale. Dentro c’è il marchio post-rock delle origini, così come ci sono le sonorità dark e new wave, le sfumature dream pop e le atmosfere psichedeliche. Ma c’è anche l’elettronica, ci sono accenni più pop, qualcuno più essenzialmente rock, insomma c’è una struttura musicale complessa e completa che riesce a non diventare gabbia, sa come sfuggire alle definizioni assolute e rigide.
La voce incantevole di Simona Pasculli, unita agli effetti elettronici sapientemente dosati e ad arrangiamenti di ottimo livello, ci trascina dentro una atmosfera generale che è ricca di magia e di emozioni. Ascoltando le tracce di questo album si ha la sensazione di viaggiare lungo un territorio inesplorato, dove i confini perdono consistenza e tutto assume leggerezza, anche il corpo, la mente, che diventano musica, lasciandosi trasportare.
L’ultimo brano, Paralysis, è la chiusura azzeccata, totalmente strumentale, di questo disco, un finale nel quale l’elettronica è una carezza profonda, intensa, di quelle che scuotono e tirano fuori qualcosa. La firma di qualità su un album molto bello, da ascoltare quando si vuole staccare dal troppo rumore, quando si vuole lasciare fuori il superfluo per ritrovare l’essenza. Un album che merita di essere ascoltato e gustato dalla prima all’ultima nota.
Redazione -ilmegafono.org
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