C’era una volta un ragazzo che un giorno decise di lasciare tutto quello che aveva per inseguire un ideale. Una storia d’altri tempi che riporta a quel Novecento… come fosse un’altra volta Spagna. Aveva un lavoro nella sua città, una città dove arte e cultura si fondono con la storia e la bellezza: Firenze. Si intendeva di vino e buona cucina, faceva il sommelier, e un bicchiere di vino nel silenzio della sera aiuta la meditazione e libera i pensieri e la mente. Non so come, né quando e perché, possa nascere una decisione che cambia il senso della vita di una persona, ma credo che quando una scintilla si accende bisogna ascoltarla, seguirla. La scintilla di Lorenzo si chiama Kurdistan. Laggiù, da qualche parte, c’è un popolo che per il mondo non esiste e, se esiste, è dimenticato da Dio e dagli uomini. È un popolo che ha subito tutto quello che la storia ha deciso che dovesse subire: perseguitati da secoli, violentati e uccisi dai gas di Saddam Hussein e ignorati dal resto del mondo.
Nonostante questo, nonostante tutto, è stato l’unico popolo capace di schierarsi compatto per combattere fino in fondo la battaglia contro il califfato nero dell’Isis. Nella lotta contro l’Isis le donne del Kurdistan sono state il volto più nobile e più esposto, una vera e straordinaria avanguardia di coraggio e dignità capace di inventare una lotta per i diritti di tutti. Hanno creato un loro esercito, capace di fare un passo oltre ogni paura. Se la guerra contro l’Isis deve avere un volto quel volto è il loro. Se quella guerra deve avere un nome quel nome è il nome di tutte le donne di Kobane. Quella guerra è stata combattuta anche per noi occidentali ed europei, troppe volte indifferenti di fronte alle stragi di minoranze, anche se noi non lo abbiamo mai capito fino in fondo e non vogliamo ammetterlo nemmeno oggi. Il nostro silenzio di fronte al genocidio del popolo armeno è lì, a ricordarcelo.
Non so e non sapremo mai quale sia stata la scintilla decisiva che è scoccata nella mente e nel cuore di quel ragazzo di Firenze, ma così è andata. Ha salutato la “normalità” e gli amici ed è partito incontro a qualcosa che lo chiamava. Non era in cerca di avventure guerrigliere e non credo nemmeno che volesse essere ricordato come un eroe. Era solo un ragazzo, un Uomo, che ha seguito la coerenza umana e politica di un’idea di vita che non contemplava l’indifferenza: l’anarchia. Lorenzo Orsetti, nome di battaglia “Tekoser”, aveva poco più di trent’anni e per tutti era il “Compagno Orso”. Ha combattuto una lotta di liberazione in cui credeva, era orgoglioso della sua scelta e quell’orso tatuato sul braccio forse era davvero il simbolo del suo coraggio e della sua fierezza. Sapeva quello che faceva, era consapevole di quello che poteva accadere e sarebbe accaduto, e lo aveva messo in conto scrivendo la sua lettera di addio che oggi assume un valore ancora più profondo:
“Ciao, se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Beh, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà. Quindi nonostante questa prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo, e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio. Vi auguro tutto il bene possibile, e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo. Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche quando tutto sembra perduto, e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza, e di infonderla nei vostri compagni. È proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve. E ricordate sempre che “ogni tempesta comincia con una singola goccia”. Cercate di essere voi quella goccia. Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole”. Serkeftin! Orso, Tekoser, Lorenzo. (19 marzo 2019)
Il compagno Orso meritava e merita tutto il rispetto che si deve a chi decide di vivere rispondendo solo alla propria coscienza, e la sua era una coscienza Partigiana nel senso più nobile del termine. Da Partigiano ha vissuto e da Partigiano è morto combattendo per un’ideale. Molte volte però accade che le istituzioni vogliano cancellare la memoria, e quando questo accade in una città come Bologna, una settimana esatta dopo le ultime elezioni regionali durante le quali tante parole sono state spese, la cosa fa più male. Fa male a Lorenzo, fa male a quell’idea di vita che un mondo diverso e migliore sia possibile, fa male alla Città di Bologna (clicca qui).
Tante cose e tante persone si dimenticano in questo Paese, come se la memoria fosse un peso ingombrante e di cui liberarsi in silenzio, quasi con vergogna. Gennaio è appena finito e si è portato via Giovanni Gerbi, il Partigiano “Reuccio”. Dalla Resistenza contro il nazifascismo alla ribellione di Santa Libera, una pagina di storia nascosta e taciuta per molti anni e della quale in tanti dovrebbero chiedere scusa per quel silenzio (leggi qui). Giovanni Gerbi era il vecchio Partigiano che non perdeva una sola occasione per ricordare che “la Resistenza non finisce mai…per finire di essere ribelli dobbiamo vedere un mondo giusto come lo vogliamo noi, ma quel mondo è impossibile, è solo un parto della nostra fantasia. Perciò, di ribellarsi non si potrà mai smettere”.
E lui ha sempre camminato accanto alla “Ribellione”. Ha camminato sulle strade e sulle piazze di Genova, nell’estate del G8. Era l’estate del 2001 quando il sistema e il governo di allora affossarono una generazione di giovani che potevano essere i suoi nipoti. Ha continuato a farlo fino alla fine, sulle montagne della Val di Susa accanto ai Ribelli di Venaus che si oppongono allo scempio della TAV. Una lotta difficile, quasi impossibile, ma che il vecchio partigiano, operaio e comunista ha saputo guardare in faccia senza nessuna paura, come l’ennesima e ultima sfida di una vita vissuta davvero con passione e altruismo. La storia si legge, si studia. La storia cammina sempre e Giovanni Gerbi ha sempre camminato senza paura, da Santa Libera a Venaus. Anche “Orso” ha camminato senza paura in una terra che non era la sua, o forse sì … perché per gli uomini liberi ogni terra è terra loro, senza confini. I confini appartengono solo a chi li accetta, chinando la testa.
Qualche volta la storia insegna e tante volte si dimentica in fretta. Qui si va avanti, si discute su tutto. Qualcuno si vergogna del proprio passato, qualcun altro lo rinnega come se non fosse mai esistito. Qualcuno lo sente come qualcosa che appartiene alle proprie radici e lo custodisce come un privilegio prezioso. Bella Ciao Partigiano “Orso”, Bella Ciao Partigiano “Reuccio”.
Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org
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