A Pizzolungo, piccola località in provincia di Trapani, il 2 aprile non è un giorno come gli altri. Nel 1985, infatti, cosa nostra decise di mettere in atto un terribile attentato nei confronti dell’allora magistrato Carlo Palermo. piazzando per strada un’autobomba pronta ad esplodere al momento del passaggio dello stesso. In quegli anni, la strategia stragista dei corleonesi era in pieno sviluppo e colpire i propri nemici con bombe e autobombe sembrava essere diventata ormai una prerogativa per la criminalità organizzata siciliana, il metodo preferito per far fuori quanti, tra coloro che tentavano di mettere il bastone fra le ruote ai clan mafiosi, fossero protetti da scorte.

Quel giorno la mafia fallì il suo obiettivo: il magistrato si salvò miracolosamente, perché tra la sua auto e quella nella quale si trovava l’ordigno, si trovò la macchina guidata da una giovane mamma di 30 anni, Barbara Rizzo, con a bordo i suoi due figlioletti di 6 anni, Salvatore e Giuseppe Asta. L’auto del giudice sorpassò quella di Barbara, proprio a ridosso dell’autobomba, i mafiosi decisero di farla saltare lo stesso, convinti che avrebbero potuto uccidere anche il magistrato e la sua scorta. Una crudeltà infinita, il totale disinteresse per le vittime collaterali di quell’attentato. Una donna e due bambini. Vittime innocenti di un barbaro attentato.

Dal 2008, la memoria di questa famiglia distrutta dalla ferocia mafiosa viene ricordata ogni anno grazie alla collaborazione tra il Comune di Erice, diverse associazioni (tra le quali “Libera”) e Margherita Asta, figlia e sorella dei tre, che quel giorno si salvò per puro caso. Una collaborazione, questa, che ha dato vita all’evento “Non ti scordar di me”, un insieme di iniziative svolte grazie alla partecipazione di scuole del trapanese e non solo, durante le quali vengono realizzati incontri con magistrati, giornalisti e giovani studenti.

Anche quest’anno, diversi esponenti del mondo della legalità e della giustizia hanno preso parte all’anniversario della strage, Fra tutti, ovviamente, lo stesso Carlo Palermo (oggi avvocato) che non può che ricordare quel giorno come uno tra i più bui della storia italiana: “Ci sono voluti oltre trent’anni per trovare alcune chiavi di lettura (della strage, ndr). Io credo sia sbagliato ritenere diverso ciò che venne compiuto nei miei confronti qui a Trapani rispetto a ciò che accadde prima a Ciaccio Montalto e a Chinnici e poi a Falcone e Borsellino”.

“Il giorno dell’attentato – ha continuato Palermo – si è acceso un faro su tante cose oscure della nostra storia, ma solo a distanza di tanti anni siamo in grado di comprendere meglio certi meccanismi”. Meccanismi che, come è chiaro, vedono protagonisti mafia e malapolitica, un connubio che da troppo tempo mette in ginocchio un Paese sconvolto da attentati prima e da ingiustizie e corruzione poi.

All’evento ha partecipato, come sempre, una nutrita delegazione dell’associazione “Libera”. Secondo Gisella Zagarella, referente dell’associazione e presente all’inaugurazione dell’evento, “i mafiosi non impiegarono molto tempo a decidere la strage; purtroppo per arrivare a momenti di impegno sociale e civile sono occorsi molti, troppi anni. Questa è la sfida che ancora oggi ci troviamo ad afrontare”. Per fortuna, però, la speranza è ancora viva e molto forte: “La sensibilità verso i temi della memoria e dell’impegno – afferma Zagarella – è cresciuta e oggi troviamo nei giovani, negli studenti le persone maggiormente in grado di dare le risposte più veloci, puntuali e attente contro le mafie”.

Nonostante una certa positività e la sensazione che qualcosa sia cambiato in questi anni, resta comunque un punto interrogativo enorme sull’intera faccenda: chi ha piazzato l’autobomba? Chi sono gli esecutori dell’attentato?
Nonostante diversi processi, la realtà sembra ancora lontana dall’essere scoperta e rivelata. Recentemente, diverse indagini nel trapanese hanno colpito quella ben nota “zona grigia” di cui si parlava poc’anzi, a dimostrazione del fatto che ancora oggi certe pratiche sono sempre più attuali e presenti. Quel che è chiaro, ad ogni modo, è che gli autori del vile gesto non si sono mai allontanati troppo dal luogo della strage. Lo stesso Don Ciotti è convinto che “la verità su questa, come su altre stragi e delitti, gira per le nostre strade”, ma se “c’è impegno serio e onesto, la società civile questa verità un giorno potrà davvero acciuffarla”.

Quanto tempo ci vorrà non ci è dato saperlo, ma il desiderio della società civile e, soprattutto, di Margherita è che presto si giunga ad una conclusione. Perché questo è quel che merita la gente che crede nella giustizia. Questo è quel che meritano Barbara, Salvatore e Giuseppe.

Giovanni Dato -ilmegafono.org