Il momento della verità, un momento tanto atteso, è arrivato. Dopo lunghi anni di lavoro e a distanza di 9 mesi dall’ok della Camera, il Senato ha finalmente approvato la nuova legge sui testimoni di giustizia. La legge in questione, nello specifico, va a riformare la normativa attualmente esistente riguardo a questi cittadini che da troppo tempo si trovavano in balia di un vero e proprio stallo legislativo.

Il presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia, Ignazio Cutrò, che abbiamo sentito telefonicamente sia nei giorni precedenti sia immediatamente dopo l’approvazione della legge, ha salutato la buona notizia e ringraziato “tutto il mondo politico, in particolare Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia”, ma soprattutto la sua famiglia e “tutti i testimoni di giustizia perché sono loro le vere vittime di tutto questo”. «Questa – ha detto Cutrò a ilmegafono.org- è la cosa più bella che potessimo ricevere come regalo per Natale», aggiungendo, inoltre, che tra i vantaggi che il testimone potrà avere sin da adesso, c’è “la possibilità di rimanere nella propria località d’origine”, un vero e proprio punto cardine di una lotta estenuante che si è finalmente risolta nel migliore dei modi.

Un traguardo importante che si è potuto realizzare grazie alla preziosissima collaborazione di numerose associazioni ed organizzazioni, tra cui appunto l’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia, Libera, Avviso Pubblico, SOS Impresa e tante altre. Un percorso che ha avuto inizio nel 2014, quando, a seguito di diversi studi, la Commissione Antimafia ha approvato una relazione sulla revisione del sistema di protezione degli stessi testimoni.

Per poter comprendere meglio l’importanza di questa nuova legge, è necessario però fare un piccolo salto ancora un po’ più indietro nel tempo. Il primo passo al fine di salvaguardare i cittadini che decidevano di denunciare fatti e/o azioni di tipo mafioso è stato infatti realizzato nel 1991, quando è stata approvata una legge che prevedeva l’assegnazione di una scorta per quelle persone che si trovavano in determinate condizioni (vale a dire in pericolo di vita). La legge, però, includeva sia i collaboratori  che i testimoni di giustizia (la cui figura non esisteva ancora), unendo così criminali e gente perbene sotto un’unica sfera.

È solo nel 2001 che l’immagine dei testimoni prende forma e viene riconosciuta a tutti gli effetti: da un lato vi sono i collaboratori (nella maggior parte dei casi esponenti di organizzazioni criminali che decidono di collaborare con lo Stato, i cosiddetti “pentiti”); dall’altro vi sono i testimoni, spesso imprenditori o semplici cittadini, vittime, a differenza dei primi, della prepotenza mafiosa.

Dal 2001, dunque, tutte quelle misure volte ad “aiutare” i pentiti vengono estese anche ai testimoni, realizzando al contempo una divisione netta tra due figure erroneamente confuse. A distanza di 16 anni, però, poco è stato fatto perché la vita dei testimoni di giustizia prendesse una piega accettabile, soprattutto se si considera lo stravolgimento che questa subisce a seguito di una denuncia ai danni di un clan mafioso. Ad eccezione di un decreto approvato dal governo Letta nel 2013, che prevede l’assunzione dei testimoni anche all’interno della Pubblica Amministrazione (così come per le vittime di mafia e del terrorismo), la situazione attuale aveva i lineamenti di una vera e propria stasi, uno stagnamento che rischiava di lasciare nell’oblìo la sicurezza e il futuro di diverse persone.

Inoltre, come scritto sulle pagine del sito di Avviso Pubblico, è necessario non dimenticare i numerosi limiti della legge 2001 emersi a galla negli ultimi anni. Tra questi vi sono «un massiccio ricorso ai programmi di protezione in località protette, in situazioni spesso degradate e di completo isolamento dalla realtà sociale; l’insufficienza delle risorse economiche per assicurare il pregresso tenore di vita ai testimoni e alle loro famiglie” e, infine, “la disparità di trattamento economico tra testimoni di giustizia».

Ecco perché era urgente che la legge attuale venisse rivisitata e modificata e che ciò avvenisse entro la fine di questa legislatura. Lo ha ribadito ancora Ignazio Cutrò: «Approvare questa legge era l’unica possibilità per i testimoni di giustizia di veder salvata la propria vita dopo quasi 20 anni».  Ed è per questo, prosegue, “che noi abbiamo atteso per ore qui davanti al Senato” in presenza di altri “fratelli”, veri e propri “compagni di viaggio”. Nelle ore precedenti all’approvazione, quando qualcuno temeva una possibile fumata nera del Senato, Cutrò ci aveva comunque assicurato che, in caso di esito negativo del voto, i testimoni di giustizia non si sarebbero arresi.

Per fortuna non vi è stato bisogno di ulteriori dimostrazioni, perché il 21 dicembre è finalmente arrivata la buona notizia: il Parlamento ha scelto di non tradire persone come Ignazio e le tante altre nella sua situazione: un segnale importante, un atto di giustizia verso la tutela e la salvaguardia di tutta questa gente. Perché è anche di loro che l’Italia ha bisogno se si vuol davvero sconfiggere la mafia e se si vuol spingere ancora i cittadini a denunciare, a non avere paura e a non sentirsi soli in questa lotta di dignità e legalità.

Giovanni Dato -ilmegafono.org