Nel corso delle ultime settimane, il racconto giornalistico di alcuni fatti drammatici, in particolare quello accaduto a Rimini, è stato segnato da generalizzazioni, etichette facili, notizie infondate. Una cosa che, unita al lavoro sporco di alcune realtà sul web e al vergognoso linguaggio di una parte della politica, ha fomentato il razzismo becero di tantissimi italiani. Un caso di cronaca è così diventato il grimaldello per spalancare la porta alle parole, ai concetti, ai gesti più orribili di cui questo Paese mostra di essere capace.
Sembra quasi che il problema italiano oggi siano i migranti. Sembra che tutto ciò che non va sia loro responsabilità e che l’economia, la crescita, il benessere e soprattutto la sicurezza degli italiani dipendano dalla presenza o meno dei migranti.
La realtà, quindi, è stata ormai distorta completamente e, in questa ubriacatura di ignoranza, ci si è perfino dimenticati di quello che siamo e di quali siano i reali problemi di questo Paese. Per tale ragione, questa settimana vogliamo porre l’attenzione sul problema che affligge davvero l’Italia e da ormai troppo tempo: la criminalità organizzata. “Va bene – dirà qualcuno – sappiamo che la mafia va sconfitta e che è uno dei motivi principali della crescita estremamente lenta del nostro Paese, ma cosa c’entra?”. C’entra eccome, perché non basta sapere che le mafie esistono se poi ci si dimentica della loro esistenza.
Essere a conoscenza di un problema, non significa risolverlo, anzi a volte si corre il rischio di una assuefazione pericolosa. Da evitare in ogni modo. Perché se è vero che oggi i giornali fanno a gara per parlare (e troppo spesso male) di immigrazione ed immigrati, è altrettanto vero che, al contrario, di mafia si parla molto poco, ad eccezione della cronaca, ossia quando avviene qualche fatto criminoso collegato al crimine organizzato che poi viene rapidamente consegnato all’oblio.
Ed è proprio da alcuni fatti di cronaca che vogliamo iniziare. Sembra già dimenticata la sparatoria avvenuta a Foggia, quest’estate, nella quale sono morte 4 persone (tra cui due contadini innocenti, testimoni involontari dell’attentato), che ha portato nuovamente alla ribalta la mafia pugliese, da tanti erroneamente giudicata di “serie B” e meno pericolosa delle altre ben più note all’opinione pubblica.
Sempre in Puglia, recentemente, si è registrato un caso di intimidazioni nei confronti di don Valentino Campanella, parroco di una chiesa di Triggiano (Bari), tra l’altro sede di Libera e quindi simbolo dell’antimafia. Qualche settimana fa, infatti, la sua auto è stata incendiata, in quello che è sicuramente un atto minatorio con il quale si è voluto replicare quanto accaduto l’anno precedente (in quel caso venne bruciata l’auto dell’ex parroco, don Salvatore de Pascale). Insomma, in Puglia qualcosa di estremamente pericoloso si sta muovendo; eppure, niente e nessuno sembra accorgersi di tutto ciò, ad esclusione delle forze dell’ordine che, nonostante il grande sforzo, somigliano sempre più ai protagonisti di un celebre romanzo di Cervantes.
Ma la mafia non è solo agguati, rapine, estorsioni. La mafia oggi è riuscita ad evolversi e ad assumere una fisionomia sempre meno riconoscibile: è sempre più finanza, edilizia, appalti. È, in pratica, tutto quel che può far business e spostare ingenti quantità di denaro.
Tutto ciò viene ben descritto in due articoli interessanti firmati da Nicola Tranfaglia (leggi qui) e Vincenzo Musacchio (leggi qui) per Articolo21, nei quali si delinea perfettamente quella che è la situazione attuale: innanzitutto, c’è il problema del riciclaggio, un settore in cui le mafie fanno affari da capogiro e sono quasi sempre indisturbate, anche a causa della crisi finanziaria che ha indebolito le banche e le ha private di liquidità (secondo un report della Direzione Nazionale Antimafia, infatti, la criminalità organizzata è riuscita ad immettere, nel solo 2016, qualcosa come 100 miliardi di euro nel sistema finanziario italiano grazie, tra le altre cose, a società intestate a prestanome); in questo modo, i clan riescono a riciclare i soldi sporchi realizzati dalle loro attività e a realizzare un profitto enorme.
Profitto che permette agli stessi clan di gestire praticamente l’intero mercato italiano, spaziando da settori come quello edilizio, quello degli autotrasporti, delle energie, dei rifiuti, del turismo e persino alberghiero. Non solo: la potenza economica di cui le mafie dispongono fa sì che queste agiscano da veri e propri usurai, riuscendo così ad impossessarsi delle aziende delle loro vittime (o comunque a controllarle). Il tutto si traduce in due punti essenziali: da un lato viene rimarcata l’assenza dello Stato; dall’altra, l’abilità criminale con cui le mafie riescono perfino a sostituire lo Stato stesso, attraverso la paura, il denaro e le complicità.
Questo si traduce nel rischio che tale sostituzione diventi sempre più ampia ed incontrollabile, un rischio che in un Paese civile e moderno non dovrebbe esistere, specialmente se si pensa alle difficoltà economiche e sociali presenti.
Il timore è che quanto detto non basti e che queste parole si perdano nel vuoto, perché manca quella consapevolezza, quella attenzione indignata da parte della gente, della politica e dei media, che invece preferiscono scagliarsi contro gli immigrati, trasformati in capro espiatorio di ogni colpa nazionale, vittime sacrificali di una vera e propria guerra tra poveri che si compie sotto il sorriso compiaciuto delle mafie che, nel frattempo, continuano a prosperare quasi indisturbate. E di certo senza la condanna e l’indignazione della gran parte dei cittadini.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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