Un tempo fu la Libia, con Gheddafi a farla da padrone e ad accumulare soldi e benefit concessi dall’Italia (di centrodestra e centrosinistra) grazie ad accordi che prevedevano in cambio lo stop alle partenze di migranti, che invece continuavano ugualmente a finire nelle mani dei trafficanti di uomini, tra i quali spiccavano anche polizia ed esercito libico, oltre a persone molto vicine allo stesso defunto colonnello. Poi fu la Turchia, sul versante orientale del Mediterraneo, dove chi scappa dalla guerra siriana (e non solo) si ritrova fermato e trattenuto dai turchi, bloccato alla frontiera in cambio di (tanti) soldi provenienti dall’Ue.
Poi fu ancora la Libia, con gli ultimi accordi che prevedono mezzi e risorse in cambio del controllo e dello stop ai migranti, soprattutto attraverso la vigilanza del confine con il deserto del Niger, oltre alla gestione muscolare delle operazioni di pattugliamento e soccorso in mare, con centinaia di migranti annegati o riportati indietro, nei campi profughi gestiti dai libici, dove non si rispettano né diritti umani né dignità delle persone. Non è bastato. I migranti partono ancora, come è normale che sia. Anche se il numero degli arrivi sul fronte turco-greco è diminuito, facendo esultare la politica europea e la scelta di “pagare” il lavoro sporco del paese di Erdogan, in Libia si passa ugualmente. I migranti partono ancora e arrivano ancora, nonostante il trattamento riservato dai paesi di approdo, come Italia e Grecia, sia peggiorato ulteriormente.
Allora, l’Europa, ostinata e crudele, decide di rilanciare e proseguire nella strategia degli accordi. Gli ultimi sono quelli con il Niger, paese africano dal quale transitano la gran parte dei migranti provenienti dall’Africa subsahariana: 600 milioni dall’Ue e 50 dall’Italia per incentivare il governo nigerino a chiudere le frontiere e combattere il traffico di migranti. Peccato che il Niger sia uno dei paesi che più basa la sua economia sul commercio di esseri umani, sulla tratta di disperati, al punto che anche importanti personalità politiche e militari sono coinvolte nel sistema. Ma l’elemento più preoccupante non è neanche questo e non sono nemmeno i soldi o l’istituzione di centri di accoglienza e l’incentivazione al controllo delle frontiere anche in altri paesi come il Ciad.
Il problema di fondo, quello più allarmante, è piuttosto la visione politica complessiva dell’Ue e del nostro governo, che ha trovato in Minniti uno sceriffo spietato e risoluto, indifferente a qualsiasi discorso umanitario o solidale, allergico a quanto stabilito dalle convenzioni internazionali sul tema dei diritti umani, ossia tutte quelle norme che, a partire dal Novecento, hanno fatto sì che il mondo diventasse un po’ più civile. Nulla. Stiamo tornando pericolosamente indietro, se è vero che oggi l’unica logica ammessa (e che mette tragicamente d’accordo quasi tutte le forze politiche di governo e opposizione in Europa) è quella di dover fermare l’immigrazione. A qualunque costo.
Si può discutere sul come, sui metodi, sulle forme, ma non sul principio. Non sono concesse contestazioni del modello, ma solo sfumature diverse: c’è chi vorrebbe metodi drastici e perfino violenti, c’è chi invece vorrebbe una selezione a tavolino e poi ci sono quelli che preferiscono agire con raffinatezza, mascherando il nazismo delle loro scelte con l’introduzione contemporanea di misure a sostegno di forme di sviluppo economico che possano dare un’alternativa legale a quella illegale del traffico di migranti. Tutte bugie, tutte misure deboli e destinate a fallire, ma soprattutto tutte secondarie rispetto all’unica che interessa all’Europa e al nostro governo: fermare i migranti.
In nome di questo obiettivo, allora, tutto è lecito, anche impedire alle Ong di denunciare violazioni o di salvare vite umane, anche lasciare migliaia di persone in mano a gente senza scrupoli come sono i militari o la guardia costiera della Libia. Il diktat è uno solo: intanto fermiamo le persone, infischiandocene del loro destino e della loro sofferenza, della morte e delle violenze, poi dopo, casomai, pensiamo a migliorare, senza troppa convinzione e con tanta improvvisazione, l’economia di zone che peraltro sono ancora gestite da personaggi dietro cui ci sono vicende ambigue e storie di appoggi discutibili.
Il destino degli esseri umani non conta più, è come polvere. E si è deciso di nasconderla sotto il tappeto, senza troppe remore. Il punto più scabroso, inaccettabile è proprio questo cambio di prospettiva, questo sdoganamento sfacciato dell’egoismo delle istituzioni europee e italiane che, in nome della conservazione del potere del loro establishment, hanno rinchiuso la solidarietà dietro muri grigi e chilometri di filo spinato costruiti con normative, azioni, aggiramenti del diritto, ma soprattutto con tanta indifferenza.
Il fatto che altri discorsi, che riguardino il dolore e la sorte di chi scappa, l’iniquità delle leggi, il diritto di cercare una vita migliore nel luogo e nei Paesi che nella loro storia si sono arricchiti depredando le risorse del continente africano, non riescano più a trovare spazio, rimanendo esclusi dal dibattito politico, è uno dei segnali più allarmanti di questo tempo. Un tempo nel quale la ragione è tornata a dormire e il cuore ha smesso di ricevere gli input necessari a combattere questo sonno profondo con gli unici mezzi di cui dispone: la speranza e l’umanità.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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