A Casal di Principe (spesso teatro di fatti tristemente noti legati alla criminalità organizzata), la legalità prova a farsi spazio con progetti di grande importanza sociale, dando un bel dispiacere ai boss della zona. Qualche giorno fa è stato inaugurato un nuovo centro riabilitativo per le persone affette da disagi mentali che sorgerà dalle ceneri della villa di Walter Schiavone, fratello del più noto Francesco, detto Sandokan, arrestato nel lontano 1998 eppur sempre al centro dei fatti di cronaca legati alla camorra.

Una vittoria, questa, che ha un valore davvero enorme se si considera la storia della villa stessa: sequestrato per la prima volta all’inizio degli anni ‘90 e poi definitivamente confiscato nel 1999, l’edificio di ben 850 metri quadrati venne dato in gestione al comune di Casal di Principe solo nel 2001 e da lì a poco vandalizzato, lasciato al più triste e tetro abbandono.

La villa è conosciuta da tutti come villa “Scarface”, (lo stesso Saviano ne citò l’esistenza in “Gomorra”), poiché gli interni e la struttura in sé furono costruiti secondo il modello di quella realizzata per il famoso film di Brian de Palma. Un vero e proprio lusso quello dei casalesi che, forti del proprio potere e della supremazia in tutta la zona, non badarono certo a spese per la costruzione della dimora.

È soltanto nel 2003, comunque, che la villa ottenne la possibilità di rinascere come avrebbe meritato: proprio in quell’anno, infatti, venne consegnato al consorzio Agrorinasce (un consorzio realizzato da diversi comuni dell’area che si interessa del recupero e del riutilizzo dei beni confiscati alla mafia) il bando per la ricerca dei fondi, che si concluse nel 2007 per un totale di circa 2 milioni di euro.

Al recupero e alla ricostruzione della villa presero parte, oltre al consorzio ed al Comune di Casal di Principe, anche la Seconda Università di Napoli e la facoltà di Architettura di Aversa, in qualità di progettista e direttore dei lavori, dando così il via ad un iter burocratico e progettuale che ha visto la propria fine dopo quasi 10 anni. Tempi, questi, che si allineano tristemente a un trend tutto italiano (siamo infatti abituati a casi del genere), sebbene abbiano portato alla ribalta ed alla luce un gioiello da gestire con cura e cautela.

Un gioiello, sì, perché è meraviglioso pensare che il luogo in cui un tempo i boss della mafia campana controllavano il territorio e decidevano le azioni criminali da intraprendere, possa adesso diventare spazio sociale per il recupero di persone meno fortunate e decisamente più bisognose di sostegno e solidarietà. Uno spazio che avrà bisogno di supporto di qualsiasi genere. Di ciò ne è certo Giovanni Allucci, amministratore delegato di Agrorinasce, il quale afferma che la villa, da simbolo della criminalità, è adesso “un simbolo del contrasto alla camorra” e che dovrà diventare un “simbolo nel riutilizzo sociale e pubblico dei beni confiscati alle mafie”.

L’augurio, adesso, è che tale conquista non venga perduta nel corso del tempo come spesso (purtroppo) accade: l’istituzione che si prenderà cura dei pazienti deve essere tutelata, protetta e supportata in ogni modo possibile (da quello economico a quello sociale, passando per quello mediatico), in modo che la vittoria sulla mafia locale si protragga negli anni e non rimanga un semplice barlume di speranza inesaudita.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org