La delibera sull’abolizione dei vitalizi ai condannati è stata approvata dall’Ufficio di presidenza di Camera e Senato. Una scelta che ha diviso il Parlamento, facendo scattare le opposizioni, seppur per ragioni diverse. La prima è quella relativa alla protesta di chi chiedeva che l’abolizione avvenisse per legge e non per delibera, paventando rischi di incostituzionalità, nonostante le rassicurazioni di molti giuristi. La seconda è quella di chi, come il Movimento 5 Stelle, criticava e critica il contenuto della delibera, considerandola un compromesso al ribasso, una soluzione incompleta e zoppa. Ma vediamo, in linea generale, cosa prevede il testo. Innanzitutto, il campo di applicazione: le disposizioni si applicano in caso di reati gravi (mafia e terrorismo) e dei principali reati contro la Pubblica Amministrazione (concussione, peculato, violazione del segreto d’ufficio).

Per i reati minori, invece, è necessaria una condanna definitiva superiore a due anni per delitti non colposi per i quali è prevista una pena di reclusione “non inferiore nel massimo a sei anni”. Il reato di abuso di ufficio, clamorosamente, non rientra tra quelli a cui è possibile applicare quanto stabilito dalla delibera. Inoltre, si dispone che il vitalizio venga sospeso e non cancellato, prevedendo l’istituto della riabilitazione: il condannato la potrà chiedere (dopo 10 anni dalla fine della condanna per i reati più gravi e dopo 3 anni per quelli meno gravi) e se il giudice dovesse accoglierla, con la cancellazione conseguente della condanna dalla fedina penale, anche il vitalizio potrà essere nuovamente riconosciuto. Infine, la norma non è retroattiva ed entrerà in vigore due mesi dopo la sua approvazione. Ciò significa che i parlamentari condannati prima dell’entrata in vigore della delibera non perderanno il diritto al vitalizio.

Insomma, la maggioranza parlamentare mette una pezza sul tema, pone dei paletti importanti per il futuro, soprattutto per quel che concerne i reati di mafia, ma non ha il coraggio di andare fino in fondo, di escludere tutti i condannati dalla possibilità di percepire un lauto vitalizio, né di stabilirne la cancellazione e non la sospensione temporanea (legata alla possibilità della riabilitazione). Anche la non retroattività appare una beffa, se si pensa a quanti parlamentari sono stati condannati in passato per mafia, corruzione, reati contro la P.A. e oggi sono “stipendiati” con soldi pubblici che non hanno giustificazioni di merito né di diritto. Non è solo una questione morale ma anche economica, perché un campo di applicazione più ampio, almeno con un’estensione delle tipologie di reato, permetterebbe allo Stato un risparmio per oltre duecento milioni di euro.

Siamo all’ennesima misura strozzata, che sa di compromesso e di codardia, di una maggioranza che adesso spaccerà questo provvedimento come risolutivo, come un fatto nuovo, rivoluzionario, positivo e non, come in realtà appare, un contentino, un intervento timido. E non è il caso di buttarla sulla solita contrapposizione garantismo-giustizialismo, perché parliamo di un istituto, il vitalizio, che è già di per sé ingiusto e assurdo anche per i non condannati, in quanto non è comprensibile perché un parlamentare debba avere un trattamento pensionistico agevolato e diverso dal resto dei lavoratori e dei cittadini.

Inoltre, bisognerebbe che i fautori della delibera spiegassero perché, se a un normale cittadino che incappa in un reato minimo che gli sporca la fedina penale non è concesso di partecipare a concorsi pubblici, un parlamentare può invece ottenere una “gradazione” del reato che gli consente di continuare a intascare a vita denaro dei contribuenti. In un contesto equo la legge dovrebbe valere per tutti, senza distinzioni di ruolo. Ecco perché non c’è da festeggiare per questa decisione, che si presenta come la solita mezza soluzione all’italiana.

D’altra parte, in altre democrazie ci si dimette per aver copiato una tesi di laurea, in Italia invece si celebra, quasi si trattasse di un comico simpatico o una macchietta, un incolto personaggio che ha barattato il proprio voto parlamentare con la difesa di meschini interessi personali (nello specifico, proprio la maturazione del vitalizio!). Davanti a un’Italia che perdona e ride per ciò che altrove sarebbe oggetto di esecrazione e di feroce accusa, purtroppo non ci si può attendere di meglio. Soprattutto da una politica lontana mille miglia dal senso di equilibrio e di giustizia, nei toni così come nei comportamenti e sempre piuttosto compatta nel difendere i propri privilegi. Anche quelli di chi sbaglia e delinque.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org