L’illegalità colpisce l’economia. E i dati sono in peggioramento. A dirlo è un rapporto della Confcommercio (presentato dal direttore dell’Ufficio Studi alla giornata nazionale della legalità del 22 novembre), realizzato su base dati Gfk Eurisko. Lo studio ci dice che il 16% delle imprese italiane (risultato 2016 in linea con il 2015) ha esperienza diretta o indiretta di fenomeni criminali. Percentuale che si raddoppia al sud e nelle isole dove il dato arriva al 38%.
Ma i danni quali e soprattutto quanti sono? L’indagine parla di 26,5 miliardi di euro (in un solo anno!) spariti dall’economia per colpa di abusivismo (8,1 mld quello commerciale, 5,6 mld quello nella ristorazione), furti (3,6 mln) e contraffazione (3,5 mld) e costi legati alla criminalità (ferimenti, assicurazioni, spesa difensiva per 5,7 mln). In parole povere, i fenomeni appena citati comportano riduzione dei ricavi o maggiori costi (mancati guadagni o assorbimenti di valore aggiunto) traducibili in veri e propri colpi alla nostra economia.
I dati vanno letti innanzitutto da un punto di vista assoluto. Così va letto infatti il dato totale dei danni stimati, perché equivale a qualche manovra finanziaria di uno stato europeo. Benché sicuramente non si possa con un colpo di spugna eliminare il problema, di risorse finanziarie pronte per essere liberate ce ne sono tante. E così si consideri anche che i miliardi “persi” in questo modo rischiano (nostra osservazione) di alimentare l’economia nera con conseguente foraggiamento dei fenomeni di lavoro nero e sicuramente di evasione.
Quella alla “criminalità economica” è una battaglia in cui vincerebbero sia cittadini che Stato. I primi, oltre a beneficiarne in termini di sicurezza generale, libertà di iniziativa economica e tutela del lavoro, beneficerebbero anche di un maggior reddito e più posti di lavoro (180.000 quelli che si perdono, secondo i dati sopracitati a causa del fenomeno). Il secondo ne beneficerebbe in termini di introiti fiscali, di miglioramento delle condizioni competitive dei mercati interni e delle imprese, oltre che di maggiori consumi. Cosa fare? Innanzitutto rendersi conto che, al di là del referendum, un problema c’è ed è serissimo e sicuramente più urgente.
Penna Bianca -ilmegafono.org
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