Nasce l’Osservatorio sulla criminalizzazione della società civile, strumento utile per tutelare attivisti e organizzazioni umanitarie da accuse infamanti. Accade spesso che la solidarietà nei confronti dei migranti venga vista da una parte dell’opinione pubblica, e anche da una parte della classe politica italiana ed europea, come un reato. Sono numerosi, infatti,  i casi in cui attivisti e organizzazioni non governative che si sono prodigati nell’aiutare i migranti con un pasto caldo, offrendo un letto, un passaggio in auto o dando loro protezione, vengono accusati impropriamente di favoreggiamento dell’immigrazione.

Questa pratica di aiuti è stata denominata “reato di solidarietà”, azioni di disobbedienza civile svolte a tutelare i profughi e rifugiati. “Disobbedienza civile”: parola nobile, profonda, piena di speranza, ma che allo stesso tempo viene messa sotto accusa da parte di una società malata, chiusa negli schemi politici e nei patti scellerati con Stati che spesso si rendono al contrario protagonisti di reati come la totale mancanza di diritti umani, torture, violenze e omicidi.

Per rispondere in modo deciso alle accuse e tutelare i diritti e la libertà della società civile di manifestare la propria solidarietà in tutte le sue espressioni umanitarie, Amnesty International, Arci e Medici Senza Frontiere hanno dato vita alla “Carta di Milano”, uno strumento di monitoraggio pensato durante la manifestazione “Insieme senza muri” del maggio scorso e che oggi si arricchisce di un nuovo strumento: “l’Osservatorio sulla criminalizzazione della società civile”.

Questo nuovo strumento nasce per monitorare e denunciare gli abusi e le accuse nei confronti dei cittadini solidali, delle organizzazioni umanitarie (ricordiamo le accuse infamanti al lavoro delle ONG nel Mediterraneo) e degli attivisti che quotidianamente lottano per aiutare chi fugge dalle guerre e dalla fame a trovare un posto nella società, anche, quando necessario, agendo al limite della legalità. Questo avviene anche perché le leggi sull’immigrazione oggi in vigore, nella maggior parte dei casi costituiscono un limite burocratico e politico per chi vuole proteggere e aiutare chi arriva nel nostro territorio per crearsi una nuova vita o chi vi arriva solo per transito, per poi oltrepassare il confine con lo scopo di raggiungere parenti e amici a nord dell’Europa.

“Siamo testimoni di un passaggio di portata storica – sostengono i promotori dell’osservatorio – in cui ci è dato vedere quanto sia fragile la tenuta dello stato di diritto e quanto sia ormai possibile per le ‘brave persone’ nominare ciò che, lungamente covato e alimentato, era rimasto finora innominabile: i migranti, resi categoria, minaccia, capro espiatorio, possono morire in mare, nel deserto o nei centri libici, possono essere resi schiavi, possono dormire in strada, essere scacciati, cancellati nella loro individualità umana, per diventare generici ‘invasori’, incolpati di ogni crimine. Tutto questo sta diventando un dato di fatto che non ci chiama più in causa come corpo sociale. Non è concesso dare aiuto (cibo, informazioni, un passaggio in macchina) pena l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la violazione di ordinanze che non molto tempo fa sarebbero apparse intollerabili alla grande maggioranza degli italiani”.

Tra gli obiettivi dell’osservatorio è prevista la tutela legale nei confronti di persone accusate da provvedimenti discriminatori e vessatori,  nonché una contro-informazione che mostri ai media tutto il vero lavoro che ONG e società civile producono realmente. Per far ciò, all’interno dell’osservatorio sono nati due gruppi di lavoro: quello sulla comunicazione, di cui fanno parte giornalisti, documentaristi, blogger e professionisti della comunicazione; e quello sul sostegno e la difesa nei confronti degli attivisti e delle ONG incriminate e infamate per atti di solidarietà. Di questo gruppo faranno parte avvocati e giuristi.

L’ osservatorio è dunque uno strumento in più per tutelare chi cerca di migliorare in tutti i modi possibili la vita di persone che l’hanno persa sotto le bombe e a causa della fame, che hanno abbandonato la propria terra e i propri cari, persone partite per un viaggio lungo pieno di speranze, che hanno attraversato insidie e pericoli, tra deserti e mare, passando spesso per i campi di concentramento libici. La solidarietà non può in nessun modo essere accusata, ma deve essere sostenuta in tutti i modi possibili.

Marco Feliciani (Sonda.life) – ilmegafono.org