Le donne dell’America Latina regalano un brivido straordinario al mondo e all’universo maschile. Un brivido che parte da un luogo simbolo della forza e del coraggio delle donne: Plaza de Mayo a Buenos Aires, la piazza che ha visto le madri e le nonne dei desaparecidos della notte argentina sfidare il regime dei generali, gridando al mondo intero il nome dei loro figli e nipoti scomparsi, rubati alla vita dalla dittatura. In quella piazza le donne argentine cominciarono la loro lotta impari, come sempre è impari la lotta delle donne ogni volta che si trovano a lottare per difendersi, per vivere, per conquistare un diritto e affermare la loro dignità.

È impari, perché secoli e millenni di storia hanno sempre tenuto la donna in quell’angolo della vita cui i maschi vanno ad abbeverarsi quando la sete li spinge a farlo. È impari, perché qualunque società da sempre considera l’universo femminile come un piacere necessario e gradevole purché rimanga circoscritto al ruolo di madre o amante. È impari, perché qualunque potere e qualunque chiesa hanno sempre diviso le donne in categorie: da una parte vergini o madonne, dall’altra streghe e puttane. È impari, perché tutte le attenuanti che sono concesse al maschio trovano sempre troppi sorrisi di solidarietà e tolleranza. È impari, perché anche davanti alle violenze estreme c’è sempre chi sostiene che “… in fondo se l’è cercata, vestita in quel modo, cosa si aspettava”. 

È impari, perché la preda deve accettare il suo ruolo, perché secoli di storia pretendono di spiegare che la donna deve accudire e crescere i figli, tessere la tela e aspettare fedele e paziente il ritorno del suo Ulisse. È impari perché anche il diritto di voto alle donne per anni è stato negato, perché faceva paura. È impari, perché la storia dimentica in fretta quello che le donne hanno costruito, creato. La storia dimentica in fretta tutte le loro battaglie, le loro sconfitte e le loro vittorie. Eppure i libri di storia sono pieni delle pagine scritte dalle donne, dai tempi più antichi ai giorni nostri passando per le lotte di liberazione, per le rivoluzioni, per i diritti civili, per il lavoro, per la vita di tutti i giorni.

Diritto, uguaglianza, coraggio e dignità si mescolano in quell’unico amalgama che è la storia delle donne. Ma la storia dimentica in fretta quando si parla di diritti negati, preferisce ricordare i diritti concessi. Perché questo è il punto, pensare che un diritto non sia appunto un diritto ma una concessione benevola. È qui, su questo punto, che cadono miseramente i veli dell’universo maschile al quale troppo spesso ci si vergogna di appartenere. È come se i maschi dicessero, e nemmeno tanto velatamente, “ …vi abbiamo dato questo e quello, cosa volete ancora? “. Questo è il nodo della questione, e diventa maledettamente difficile scioglierlo perché quel nodo è indurito da anni d’insegnamenti ipocriti e sbagliati.

Le leggi degli Stati possono colmare alcuni vuoti ma non riescono a risolvere la questione, perché quella questione è una legge radicata nel cuore e nel cervello dei maschi e lì nessun codice riesce ad arrivare. È una legge primitiva e violenta, alla quale è difficile contrapporsi. Eppure sarebbe così facile liberarsene, stracciare quella legge. È così facile, ma non si vuole ammettere. Non si vuole ammettere che la vita è altra cosa rispetto alle convenzioni che ci sono state inculcate da sempre, fin da bambini, quando s’insegna ai maschi qualcosa di diverso da quello che s’insegna alle femmine.

Quando si rimprovera un figlio maschio perché piange come una “femminuccia”, quando si insegna ad una figlia che dovrà essere una moglie fedele, paziente e obbediente, quando si predica che un matrimonio deve essere tale “… finché morte non vi separi “, quando si è accettato fino a trent’anni fa il delitto d’onore, quando si impartiscono dogmi che nulla insegnano del rispetto e della dignità della persona.

Per questo il grido di rabbia e di straordinaria dignità che è partito da Plaza de Mayo a Buenos Aires deve arrivare fino a noi. Perché la morte di Lucia Pérez, ragazza di sedici anni rapita e drogata, violentata e uccisa a Mar del Plata all’inizio di ottobre, è solo l’ultimo pugno nello stomaco a tutte le donne e non solo. “Ni una menos”, nemmeno una di meno, gridavano le donne di Buenos Aires. Quel grido non poteva che partire da Plaza de Mayo, ancora una volta, ed è giusto che arrivi in tutto il mondo, Italia compresa. In Argentina i numeri sulle violenze subite dalle donne sono spaventosi, ma questo non significa che queste violenze siano un’esclusiva dell’Argentina.

Il mondo intero è intriso di questa violenza, comprese la vecchia Europa e il nostro Paese, dove la violenza sulle donne è presente, tollerata, impunita. Ci si indigna, ci si commuove, ci si arrabbia. Poi, passato il momento dell’emozione, si ritorna nel proprio nascondiglio e si dimenticano la bellezza e il valore del sorriso delle donne. Si dimenticano la fatica, la dignità, il dolore e la storia che sono dietro quel sorriso. E si finge di non capire quanta strada ancora ci sia da fare perché finalmente possa essere distrutto quel recinto in cui i maschi rinchiudono da una parte le vergini e le madonne e dall’altra le streghe e le puttane.

Maurizio Anelli (Sonda.Life) – ilmegafono.org