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Tra un Sì e un No muoiono le domande

Tra un Sì e un No muoiono le domande

C’è chi dice Sì e chi dice No. E fino a qui tutto normale. Se non fosse che non siamo a un quiz televisivo o davanti a un social test che ci dice qual è il nostro colore ideale o la nostra anima gemella. Qui c’è in gioco il futuro assetto dell’Italia, una cosa parecchio seria. La campagna referendaria sta esprimendo esattamente il livello del confronto politico e della politica stessa di questo Paese: vale a dire basso, vuoto, scadente. Le tifoserie sono sempre accese e pronte a colpirsi lanciandosi slogan da ripetere all’ossessione fino a quando una delle due controparti non decida di arrendersi. Sui contenuti, invece, parecchio rumore e poca chiarezza, semplicemente perché sono quasi sempre lo scontro, l’insulto, la banalizzazione dei temi a prevalere.

Eppure siamo dinnanzi a una scelta importante, a qualcosa che meriterebbe attenzione, dialogo, scambio di opinioni, pur nella differenza di vedute e nella diversa idea di quella che deve essere la fisionomia democratica di una nazione. Anche perché la Costituzione è un bene assoluto, il più importante; per tale motivo, qualsiasi proposta di modifica, a maggior ragione sostanziosa come quella attuale, andrebbe valutata attentamente, senza arroganza e senza ostentare certezze assolute. Soprattutto se si continua a ripetere che si agisce nell’interesse del Paese.

Ad essere sinceri, tuttavia, pur rilevando vizi in entrambi i fronti, a commettere qualche errore di troppo sembra essere proprio chi ha promosso questa riforma (e il suo combinato con la nuova legge elettorale) e si trova, per forza di cose, in una posizione privilegiata, anche a livello di mezzi di comunicazione. Il peccato originale è stato, innanzitutto, quello di assegnare un peso politico esagerato a quella che in realtà doveva essere una discussione condivisa e costruttiva sul bene comune. In questo modo, un tema così complesso e importante, relativo a diversi ambiti della nostra democrazia, è stato trasformato in uno strumento di misurazione del consenso ad alto tasso di politicizzazione.

In nome della stabilità e di una maggiore rapidità del processo legislativo, che poi in realtà sono solo gli abiti buoni da far indossare al progetto di una crescente, sbilanciata e discutibile concentrazione di potere decisionale, si è messo in moto un meccanismo che bolla automaticamente come vecchio, stolto, strumentale e vizioso qualsiasi pensiero opposto. La comunicazione, a tale scopo, gioca un ruolo predominante, con un abuso di messaggi da parte del fronte del Sì attraverso i suoi molteplici canali. Il governo e la sua maggioranza stanno infatti giocando ad armi impari, ma soprattutto con una pochezza di contenuti disarmante nel contestare le ragioni del blocco opposto. Ed è qui il punto debole che avvilisce il dibattito esaltando la disinformazione.

Nessuno ovviamente vuole negare, lo ripetiamo, che anche il fronte del No sia inquinato da personaggi e messaggi scadenti e da atteggiamenti deprecabili, ma i casi isolati non possono essere utilizzati come etichette, né come motivazione per delegittimare delle ragioni che esistono e sono vive. Spiace dirlo, ma i fautori della riforma lo fanno quotidianamente e più degli altri, soprattutto per tramite degli esponenti di governo. Il problema è che il virus si è diffuso in maniera verticale, contagiando una buona parte del blocco del Sì. Non solo nelle dichiarazioni ufficiali e nei dibattiti, infatti, ma anche sul web e sui social, nelle discussioni tra cittadini, molti sostenitori del Sì continuano a ripetere tendenzialmente lo stesso disco.

Risulta davvero raro sentire risposte o ragionamenti seri sui temi caldi: cioè i rischi connessi alla “supremazia statale” su quella regionale e locale in tema di grandi opere e progetti, come prevede la riforma del titolo V; le gravi conseguenze di un monocameralismo di fatto, combinato a una legge elettorale che premia una maggioranza consegnandole le chiavi del Paese senza adeguati contro-bilanciamenti; la reale necessità di eleggere la stabilità a obiettivo primario, come se ciò fosse sinonimo di buon governo e non rischi di diventare invece, nelle mani di una maggioranza inguardabile, una pericolosa e dannosa gabbia. Niente di tutto ciò.

I fautori del Sì, tranne rare eccezioni, rispondono spesso senza entrare nel merito, affidandosi all’ossessiva pubblicazione di qualche frase scritta o pronunciata da qualche povero esaltato o ignorante (meglio se grillino) che si schiera per il No (della serie “siete tutti così”), all’offesa non motivata nei confronti di qualche costituzionalista celebre (che fino all’anno scorso o a un paio d’anni fa consideravano un dio), oppure allo slogan più banale: “voti come Salvini, Brunetta, Meloni, Casa Pound eccetera”. E molti quotidiani si stanno prestando a questa mistificazione.

Certo, vero è che dall’altra parte c’è anche chi fa il gioco dei detrattori, ma ciò non giustifica una tale strategia di distorsione della realtà. A parte il fatto che non saprei dire se sia il caso di accettare lezioni di buona compagnia da chi ha dato incarichi di governo o peso politico a gente come Alfano e Verdini, in ogni caso quello che più colpisce è che ancora ci sia talmente tanta ignoranza, vera o strategica, da ridurre un referendum, tra l’altro di una tale portata, a una questione insensata e fasulla di “compagnie”. C’è ancora qualcuno che crede realmente che il referendum sia banalizzabile in questa maniera?

Se Salvini, per motivazioni esclusivamente politiche (dal momento che mi è difficile riconoscergli la capacità di ragionare nel merito) sceglie di votare in un modo, in virtù di una politicizzazione del tema promossa dal mondo politico, cosa c’entrano i cittadini, i costituzionalisti o le organizzazioni a difesa della Costituzione?

Il referendum non è un’elezione e ciascuno segue le proprie ragioni, più o meno legittime, e non le appartenenze. E quella legittimità di scelta andrebbe rispettata. Soprattutto da un governo apertamente schierato e per nulla equidistante che ha già molto spazio (sproporzionato) per parlare ogni minuto delle ragioni del Sì e sfruttare qualsiasi occasione per farlo. Sarebbe meglio (e ciò comunque vale per entrambi) spostare il discorso sui temi e sulle motivazioni. Senza sviamenti e lasciando perdere le tifoserie. Perché a confondere le acque e a inquinare il dibattito non ci guadagna nessuno, soprattutto non ci guadagna l’Italia. E nemmeno il suo futuro. Che è anche il nostro. Di tutti noi.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org

Autore

Massimiliano Perna

Sono un giornalista freelance, mi occupo da molti anni di immigrazione e diritti, ma anche di ambiente e mafia. Scrivere per me significa respirare e prendere posizione. Amo leggere e amo visceralmente la mia Sicilia e le opere di Pippo Fava. Ho un debole per le menti critiche che si coniugano con l'umanità e la semplicità. Disprezzo i razzisti e gli ipocriti e l'inerzia di chi potrebbe fare qualcosa ma non la fa. Sono il fondatore di questo sito, nato nel 2006, che oggi ha anche una web radio nella quale curo una trasmissione di approfondimento. I tempi sono bui e i silenzi troppi. Un megafono, sia esso di ferro, di righe e inchiostro o collegato a un mixer virtuale, può accendere qualche piccola luce. La mia speranza è di riuscire a tenerlo sempre acceso.

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