Da tempo si dice che la mafia abbia smesso di sparare, che la criminalità organizzata preferisca agire nell’oscurità e nell’impercettibilità del silenzio, del “niente succede”. E si dice che per tale ragione essa sia riuscita persino a incrementare il proprio potere e la propria forza. Da tempo si dice tutto questo e ciò solo in parte rispecchia il vero. Se per un po’ cosa nostra ha scelto di non usare il piombo, è solo perché ha preferito mettere in azione tecniche di intimidazione ugualmente pericolose e preoccupanti, ma meno “rumorose”. La mafia, però, non ha accantonato la sua vocazione più violenta, perché è impossibile che ciò accada, soprattutto quando ritiene necessario eliminare chi ne ostacola gli affari e gli interessi.
In Sicilia, si dice anche che la mafia messinese sia una delle meno pericolose e che sia spesso rimasta in disparte rispetto alle altre famiglie ben più note. Da tempo si sostiene tutto ciò, ma questa non è affatto la verità. E la dimostrazione è proprio recentissima.
La notte tra il 17 e il 18 maggio, il presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, ha subito un agguato da un commando mafioso, uscendone vivo per un soffio. La macchina sulla quale viaggiava Antoci (di ritorno da Cesarò e diretto a casa, a S. Stefano di Camastra) è stata bloccata da alcuni massi posti sulla via che collega i comuni di Cesarò e San Fratello, nel bel mezzo del parco dei Nebrodi, dove alcuni killer lo attendevano per ucciderlo. Una vera trappola. Per fortuna, però, l’auto blindata ha retto ai colpi dei mitra, anche se la ragione principale per cui il presidente è ancora vivo la si deve alla presenza della scorta all’interno del veicolo e soprattutto all’azione tempestiva di Daniele Manganaro, dirigente del commissariato di S. Agata di Militello, che, dopo un conflitto a fuoco, ha messo in fuga i killer.
All’indomani dell’agguato, il presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, ha voluto esprimere la propria solidarietà nei confronti di Antoci e tutto il proprio orgoglio per il lavoro egregio svolto da Manganaro e dalla scorta, manifestando inoltre il desiderio di vedere presente l’esercito nella zona che coinvolge i Nebrodi e nel territorio messinese in generale. Una zona, questa, che da qualche tempo a questa parte pare si stia scaldando non poco e tutto ciò, ovviamente, lo si deve al coraggio di uomini come Antoci.
Dietro al vile agguato della notte scorsa, infatti, vi è una storia che andrebbe raccontata a tutti, quindi analizzata e fissata nella memoria. Giuseppe Antoci è a capo del parco dei Nebrodi da qualche anno e, dal proprio insediamento, non ha fatto altro che disturbare gli interessi mafiosi del luogo. Prima del suo insediamento, infatti, la mafia aveva sempre ottenuto migliaia di ettari di terreni dalla Regione Sicilia senza alcun bando e a prezzi irrisori. Cosa nostra chiedeva, la regione dava.
Ovviamente, il motivo per cui “la mafia del pascolo” (come viene chiamata in questi casi) è particolarmente interessata all’acquisizione di terreni del genere sta tutto nei fondi europei che ogni anno vengono stanziati: l’Unione Europea, infatti, invia ingenti quantità di denaro per far sì che i terreni siciliani vengano utilizzati proprio allo scopo di far pascolare il bestiame e di incrementare la biodiversità che tanto contraddistingue la nostra terra. Soltanto che, come ogni business che si rispetti, i mafiosi di turno hanno intravisto un’ottima possibilità di aumentare i propri introiti con uno sforzo minimo, dovuto soprattutto all’omertà di molti politici siciliani. Così, famiglie mafiose come i Riina e i Santapaola hanno storicamente ottenuto i terreni a costi stracciati e sono riuscite ad incassare contributi fino a 550 mila euro all’anno.
Dall’anno scorso, però, tutto questo è stato bloccato. La musica è cambiata. Antoci, infatti, in collaborazione con la prefettura di Messina, ha dato vita a un protocollo di legalità che prevede l’obbligo di presentazione del certificato antimafia per chiunque abbia interesse ad acquisire un terreno, anche di valore inferiore ai 150.000 euro. Questo significa che tutti i comuni e tutti gli enti regionali devono esigere tale certificato al fine di rilasciare ogni tipo di terreno che si voglia acquisire. E c’è di più: grazie a sindaci coraggiosi come Fabio Venezia (primo cittadino di Troina e anche lui sotto scorta), ben 4.200 ettari sono stati revocati: terreni acquisiti, nella maggior parte dei casi, da elementi appartenenti ai clan criminali.
Insomma, il lavoro svolto da Antoci sta iniziando a dare i propri frutti e l’agguato di questa settimana, purtroppo, ne è la dimostrazione. Un atto terribile che fa seguito alle minacce già ricevute in passato. Nel dicembre del 2014, infatti, una lettera minatoria spedita da Catania venne recapitata alla sede della presidenza del Parco dei Nebrodi, con all’interno parole orribili nei confronti di Antoci e del governatore Crocetta. Ecco, quindi, che quando lo Stato colpisce i criminali, questi non esitano neanche un istante a rispondere. E risposte del genere significano tanto, ma non fanno arretrare di un millimetro chi combatte dalla giusta parte, come afferma lo stesso Antoci: “Da oggi parte la fase due: è la mafia che deve avere paura, li colpiremo con legnate ancora più forti”. E ancora: “Io non mi fermo, continuerò a fare soltanto il mio lavoro e il mio dovere”. Poi un’affermazione che ha il sapore di un appello: “Dobbiamo cambiarla tutti insieme questa terra”.
La storia di Antoci (che speriamo di raccontare a lungo e magari per cose più piacevoli di un agguato) non può che ricordare quella di Renata Fonte, la donna pugliese uccisa a pochi passi da casa nel 1984. La Fonte, che aveva appena vinto le elezioni comunali di Nardò, venne uccisa da un commando mafioso per aver creduto nella legalità: la sua unica “colpa”, infatti, fu quella di aver lottato contro interessi sporchi e oscuri cercando di porre fine alla speculazione edilizia nell’area del parco di Porto Selvaggio, località salentina di grande valore paesaggistico. Antoci, come la Fonte, lotta per il bene della propria terra e per la difesa della sua bellezza: dobbiamo allora agire tutti, insieme, affinché la storia non si ripeta tragicamente.
Giovambattista Dato -ilmegafono-org
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