Nel territorio della provincia messinese si è da poco conclusa l’operazione antimafia Gotha 6 con la quale investigatori ed inquirenti hanno ricostruito un ventennio (dal 1992 al 2013) di efferati crimini nella zona, arrestando 13 mafiosi considerati responsabili di 17 omicidi (tra i mafiosi sottoposti a misura cautelare anche Giuseppe Gullotti, già condannato a 30 anni per l’omicidio di Beppe Alfano). Si tratta solo dell’ultima di una lunga serie di operazioni che, nel corso degli ultimi anni, si sono dedicate a scardinare la mafia barcellonese, considerata dagli inquirenti molto forte e talmente strategica da riuscire a intrattenere rapporti “d’affari”, non solo con le cosche palermitane e catanesi, ma anche con la ‘ndrangheta. Che la mafia a Barcellona sia ancora molto forte e ben radicata nel tessuto sociale non è certo una novità; basta riflettere sul fatto che è stata scelta sia da Bernardo Provenzano che da Nitto Santapaola per le proprie lunghe latitanze e, inoltre, sul lungo elenco di omicidi (talvolta irrisolti) o di misteri che hanno interessato la zona.
Come l’omicidio di Beppe Alfano e di Graziella Campagna, la morte (ancora avvolta nel mistero) dell’urologo Attilio Manca, persino il suicidio del professore Adolfo Parmaliana, il quale scrisse nella sua lettera d’addio che “la Magistratura barcellonese/messinese vorrebbe mettermi alla gogna, vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi, mi sta dando la caccia perché ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le connivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati” (per la diffamazione ai danni del professor Parmaliana tramite dossier anonimo e falso fu in seguito condannato l’allora procuratore generale Franco Cassata). La storia contemporanea barcellonese, pertanto, può essere considerata alla stregua di un lungo ed intricato labirinto di sangue e malaffare nel quale è facile perdersi.
Di recente, deponendo nei processi Gotha 1 e 2, Carmelo D’Amico, un tempo esponente di spicco della mafia barcellonese ed oggi collaboratore di giustizia, sta fungendo da novello Teseo; stavolta niente gomitolo di lana ad indicare la via ma le sue dichiarazioni che, dopo essere state sottoposte alle necessarie verifiche, potranno essere molto utili a risolvere tanti misteri e delitti ancora irrisolti. D’Amico, infatti, sta fornendo informazioni molto inquietanti circa la forza della mafia locale e la sua ramificazione di contatti con le istituzioni (anche a livelli molto molto alti). Il collaboratore di giustizia ha confermato agli inquirenti le estorsioni perpetrate nel corso degli anni ai danni dell’Aias barcellonese, aggiungendo che il tentato omicidio di Piero Arnò (nel novembre 2003) era stato ordinato da un noto docente (a piede libero) che sperava così di potersi insediare ai vertici della associazione. D’Amico ha poi rivelato l’intenzione di alcuni boss di uccidere l’avvocato penalista Giuseppe Lo Presti, colpevole di essere stato visto a cena con un agente di polizia.
La rivelazione sicuramente più inquietante che l’ex boss ha fornito è stata quella secondo cui la mafia barcellonese non incontrava molte difficoltà nell’“aggiustare i processi”. “La nostra organizzazione – ha dichiarato nel corso della sua deposizione – ha aggiustato diversi processi, abbiamo corrotto qualche giudizio di cui ho parlato, abbiamo corrotto qualche pubblico ministero, qualche procuratore generale e abbiamo aggiustato qualche processo molto importante”. Come se non fosse già sufficiente la compiacenza di questi procuratori corrotti, in base a quanto dichiarato da D’Amico la cosca barcellonese poteva anche contare sulle soffiate di molti carabinieri e poliziotti corrotti. “La nostra associazione – ha aggiunto quasi con orgoglio D’Amico – era molto ramificata a livello politico, a livello istituzionale, era una delle più potenti che c’era in Sicilia, diciamo, la cosca barcellonese e anche molto sanguinaria. Noi siamo arrivati anche sin Cassazione a sistemare un processo.. un processo molto noto, abbiamo corrotto un giudice di Cassazione, che sono andato personalmente io insieme a Pietro Mazzagatti Nicola, e abbiamo corrotto questo giudice nativo di Santa Lucia… le dico questo, nativo di Santa Lucia del Mela e che risiede a Roma”.
Non va dimenticato, infatti, che solo un paio di mesi fa Carmelo d’Amico aveva anche dichiarato che l’omicidio di Attilio Manca, per aver riconosciuto nel proprio paziente il boss latitante Bernardo Provenzano, sarebbe avvenuto per volontà mafiosa ma con l’aiuto dei servizi segreti. Per l’esattezza, a uccidere il giovane urologo sarebbe stato un ufficiale del Sisde, noto nell’ambiente come “u calabrisi”, vicino all’ambiente della Corda Fratres, un’associazione culturale barcellonese (in odor di massoneria) di cui per molti anni è stato presidente il Procuratore Franco Cassata e che annoverava tra gli iscritti anche Giuseppe Gullotti (assassino di Beppe Alfano) e l’avvocato Rosario Cataffi (affiliato sino al 2000 alla cosca barcellonese).
Se, in seguito agli opportuni riscontri, le dichiarazioni di D’Amico dovessero risultare essere vere, ne conseguirebbe uno scenario di corruzione e connivenza molto simile a quanto descritto dal professore Parmaliana nel proprio sfogo premorte. Di certo il ricorrere di certi nomi sembra piuttosto sospetto e forse sarebbe opportuna una presa di posizione e di distacco dell’intera Barcellona Pozzo di Gotto che invece, in parte, continua ad ossequiare certi discutibili personaggi.
Anna Serrapelle- ilmegafono.org
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