Nel nostro Paese, le intimidazioni nei confronti di giornalisti, bersagli di minacce o aggressioni da parte di cittadino o di esponenti della criminalità organizzata, sono ormai all’ordine del giorno. Non a caso, il rapporto britannico “Demonishing”, realizzato nel 2018, ha infatti classificato l’Italia al primo posto in Europa nella classifica dei paesi con il più alto numero di intimidazioni, a dimostrazione del fatto che la situazione attuale per la nostra libertà di stampa e di parola è sempre più critica.

L’ultimo bersaglio (in ordine cronologico) di intimidazioni mafiose è Floriana Bulfon, giornalista friulana residente a Roma da anni. Floriana, la sera dello scorso 8 aprile, ha trovato una bottiglia contenente del liquido infiammabile all’interno della propria auto. Che si tratti di un avvertimento, di una vera e propria minaccia sembra evidente: la Bulfon ha “pestato” i piedi alla famiglia dei Casamonica e già in passato è stata vittima di intimidazioni. Ecco perché sembra molto probabile un collegamento tra le inchieste della giornalista e la reazione prepotente e vigliacca del clan romano.

Questo è solo l’ultimo caso di un’escalation di atti minatori che rischia di rendere l’aria pesante sia per i giornalisti che per i cittadini stessi. Spesso, infatti, si tende pensare che un attentato o una minaccia colpisca solo chi ne è destinatario: in poche parole, a parte la solidarietà di rito, si tende a pensare  che il giornalista sia l’unico a dover combattere e lottare per la propria incolumità. La realtà, a dire il vero, è diversa: ad essere colpita dalla oppressione criminale è l’intera comunità e mai il singolo individuo. Certo, la Bulfon dovrà sicuramente vivere sulla propria pelle la paura di un nuovo, possibile attentato, dovrà districarsi tra difficoltà, rischi, timori, ma per poter continuare a svolgere egregiamente il proprio lavoro ha bisogno del sostegno di tutti.

I cittadini (romani o meno) devono prendere coscienza della situazione e denunciare, sostenere concretamente l’opera di verità che i giornalisti portano avanti in una zona complessa e fortemente inquinata dalle mafie quale è la Capitale. Prima di tutto, bisogna iniziare a parlare, bisogna sconfiggere l’omertà: quell’omertà che ha reso possibile “l’avvertimento” dello scorso lunedì.

La solidarietà è giunta da più parti nei confronti della vittima. Un fatto importante ma, da solo non sufficiente. Virginia Raggi, sindaco di Roma, ha condannato “con forza un atto gravissimo” nei confronti di una giornalista “che in passato è stata minacciata dai Casamonica”. Una condanna che ha bisogno anche di misure concrete sul territorio, non solo di ruspe e abbattimenti, ma di un impegno costante, quotidiano, solido contro chi controlla interi pezzi della città.

Intanto, la Fnsi si fa sentire con un comunicato nel quale elogia il lavoro della Bulfon: “La temono perché è una cronista coraggiosa e rigorosa, che con il suo lavoro contrasta mafie e criminalità. Siamo sicuri che non si lascerà intimidire da questo vile gesto e che continuerà con la determinazione di sempre a illuminare i covi del malaffare e le vicende di chi vorrebbe calasse il silenzio sui propri loschi traffici”. Ed è proprio su questo che bisogna porre l’attenzione: evitare che cali il silenzio. Fare in modo che si accendano le luci e che i criminali non l’abbiano vinta. Bisogna farlo per Floriana Bulfon e per tutti i giornalisti dalla schiena dritta, oggetto costante di intimidazione mafiosa. Bisogna farlo ogni giorno, prima che sia troppo tardi.

Giovanni Dato -ilmegafono.org