Uomini e caporali. Un’eterna distinzione dentro un tempo che sembra non cambiare mai. Uomini, caporali e datori di lavoro che da troppo la fanno franca. Nell’agricoltura, questa distinzione diventa la fotografia di un dramma diffuso. Un crimine che, se è vero che colpisce prevalentemente questo settore, produce sistemi analoghi anche in altri ambiti, come edilizia, ristorazione, mercati ortofrutticoli, imprese di pulizia. Nell’Italia dei bar, degli atti di razzismo, delle dichiarazioni sconcertanti, dell’ostilità accesa contro i migranti, accusati di ogni cosa, indicati come minaccia, la realtà sputa fuori un’altra verità: sfruttamento, violenza, violazioni della dignità umana. Vittime i migranti, carnefici i caporali (italiani e non), mandanti gli imprenditori (italianissimi).

Qualche giorno fa, è scattata una maxi operazione di polizia, condotta dalle squadre mobili di undici province in ben otto regioni italiane e coordinata dalla Direzione centrale anticrimine. L’operazione, che si è avvalsa del supporto anche di altri reparti e di enti esterni come gli ispettorati del lavoro, ha sottoposto a controlli oltre 50 aziende agricole e ha identificato più di 600 persone nei territori di Agrigento, Forlì-Cesena, Siracusa, Taranto, Verona, Matera, Salerno, Lecce, Ragusa, Vibo Valentia e Latina.

L’obiettivo è quello di scoraggiare e colpire il fenomeno del caporalato nelle campagne, una piaga che inquina il mondo del lavoro bracciantile e umilia i diritti umani. Un sistema di schiavitù moderna che colpisce soprattutto i lavoratori stagionali, in gran parte stranieri, ma non solo, con conseguenze tragiche come dimostrano anche le morti registrate negli anni. Un fenomeno che da molti è definito un’emergenza, ma che per la verità emergenza non è, considerato che, da oltre venti anni, si ripete ciclicamente, negli stessi luoghi, con le stesse modalità e con gli stessi metodi.

L’operazione della polizia è il proseguimento di un’altra precedente che aveva interessato un numero inferiore di province. Oltre all’accertamento di irregolarità amministrative, gli uomini delle squadre mobili hanno effettuato nove fermi (tutti italiani gli arrestati), diverse denunce, sequestri e sanzioni salate. Le illegalità emerse sono le solite: inosservanza degli obblighi di legge su contributi, contratti e soprattutto su sicurezza e igiene sul posto di lavoro, poi ovviamente illecita intermediazione tra domanda e offerta (il fulcro del caporalato), ma anche le condizioni in cui i migranti sono costretti a vivere e il clima di sopraffazione di cui sono vittime.

Un colpo al caporalato che però non basta, perché il fenomeno riguarda un numero molto ampio di persone e perché in molte zone, probabilmente, i controlli sono arrivati a stagione quasi conclusa o ancora non nel pieno. Interessante notare e far notare come i controlli non abbiano interessato soltanto il sud, ma anche il centro, il centro-nord e il nord, aree fortemente segnate dal caporalato (non solo in agricoltura), ma che spesso non finiscono nei radar degli inquirenti e dell’opinione pubblica. Le aree interessate dal fenomeno sono infatti un’ottantina, sparse in tutta Italia: da Vittoria alla Val di Cornia, da Saluzzo a Rosarno, dal basso bresciano e mantovano a Cassibile, passando per Ravenna, Fondi, Castelvolturno e così via.

Il lavoro nero riguarda un numero di persone che va dalle 400 alle 500mila, di cui l’80% circa è costituito da stranieri. Si stima che almeno 100mila persone siano costrette a vivere in condizioni paraschiavistiche, con pesanti carenze igienico-sanitarie e situazioni gravi di assoggettamento, compreso il cosiddetto “caporalato sessuale”, con stupri ripetuti in cambio di lavoro per sé e per le proprie famiglie (quello di Vittoria è il caso più conosciuto). Insomma siamo davanti a un quadro terribile per il quale gli strumenti normativi, come il reato di caporalato, sono utili ma non sufficienti e costringono spesso magistratura e inquirenti a colpire i datori di lavoro, che sono i veri foraggiatori di questo sistema criminale, principalmente sul piano economico, attraverso le sanzioni e il blocco delle attività.

Le operazioni di polizia sono importanti ma non bastano se non sono accompagnate da una normativa ancora più severa e da una maggiore prevenzione sul lavoro, fatta di controlli sui contratti, sui contributi, sulle condizioni abitative dei lavoratori, da una rete di assistenza e accoglienza per i lavoratori stagionali e per le loro famiglie e da un sindacato presente in modo radicato e concreto, capace di promuovere cultura sindacale e garantire tutela e diritti. Sarebbe quel famoso piano politico che è ancor più fondamentale di quello puramente repressivo, se si vuole eliminare il problema alla radice tutelando tutti i lavoratori, oltre a quelle imprese che rispettano la legge.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org