I raid a stelle e strisce benedetti da tutti mi ricordano tanto l’Iraq e la mia adolescenza. Oggi, però, stupisce che gli americani continuino a dover fare i poliziotti del pianeta. Il ruolo che si erano attribuiti comincia a vederli meno protagonisti anche in queste ore in cui l’esercito nero dell’Isis avanza sulla città siriana (ma vicina al confine con la Turchia) di Kobane. Città assediata da tempo, dove i curdi dell’ YPG resistono all’avanzata degli uomini in nero, curiosamente (ma non troppo) dotati di carri armati e artiglieria, dotazioni lontane da quelle canoniche che li volevano imbracciare solo fucili mitragliatori.
La situazione è complicata. Non bisogna infatti dimenticare che Damasco ha la rivoluzione in casa, rivoluzione di cui non abbiamo capito un’acca. Tra gli avversari del regime si nascondevano anche i professionisti in nero della guerra e il fondamentalismo ha trovato un ennesimo terreno fertile su cui attecchire. Non bisogna dimenticare neppure che la Turchia da sempre non ama (eufemismo) i curdi, in particolare il PKK e l’YPG.
Non bisogna neanche dimenticare, come un amico attento ricordava qualche tempo fa, che la guerra è un mestiere e i suoi operai sono attivi nella regione da troppo tempo per non pensare che siano girati soldi veri per indurli a restare lì. E i soldi potrebbero avere la stessa nazionalità delle bombe che chirurgicamente, ma poco efficacemente, stanno tentando di fermare gli uomini in nero. Che come nella migliore delle storie per bambini terrorizzano con il marketing della violenza le nostre menti, rendendoci prigionieri della paura, la peggior cattività possibile.
In questo i combattenti dell’YPG, unica vera forza sul campo a contrastare i jihadisti, non ricevono la dovuta attenzione nonostante abbiano salvato loro, davvero, i civili minacciati dalla furia omicida dei mercenari del terrore.
Penna Bianca -ilmegafono.org
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