Da don Camillo a “don” Francesco, da Peppone a Marcello: a Brescello, il paese nel quale furono ambientati i film ispirati alla celebre saga di Giovannino Guareschi, cambiano i nomi e i personaggi, ma soprattutto cambia il loro spessore. Diverso è anche il clima che li circonda. Il paesino della bassa reggiana è in subbuglio, di certo non per un comizio dell’onesto sindaco interpretato da Gino Cervi o per una battuta dell’amato sacerdote a cui l’attore Fernandel prestò la sua faccia buffa e furba. Il motivo dell’agitazione è una video-inchiesta, dal titolo “La ‘ndrangheta di casa nostra. Radici in terra emiliana“, svolta dai ragazzi di Cortocircuito una web tv studentesca di Reggio Emilia che, da tempo, si occupa di denunciare le infiltrazioni mafiose nel territorio emiliano.

Più di mezz’ora di video, corredato da interviste, nel quale si racconta la penetrazione della ‘ndrangheta nella bassa reggiana e, in particolare, a Brescello, dove risiede Francesco Grande Aracri, imprenditore ma soprattutto boss condannato in via definitiva per mafia, nel 2008, e attualmente posto in regime di sorveglianza speciale. La sua famiglia ha subito un maxi-sequestro di beni per un valore di 3 milioni di euro, uno dei sequestri più ingenti eseguiti nel nord Italia. Aracri, infatti, secondo gli inquirenti, sarebbe il reggente della ‘ndrina nel territorio reggiano. L’inchiesta di Cortocircuito, oltre a denunciare la presenza mafiosa e il suo radicamento, mette in mostra l’omertà regnante a Brescello: c’è chi non vuole parlare, chi dice di non sapere nulla, chi afferma che la famiglia Grande Aracri dà lavoro e non disturba, “al contrario di questi immigrati che prendono 40 euro al giorno e hanno il telefonino” (come dice un avventore del centrale bar “Peppone”, che per anni è stato di proprietà della famiglia calabrese).

Poi, c’è chi, come il sindaco Marcello Coffrini, oltre a negare la presenza delle organizzazioni criminali in città, afferma che Francesco Grande Alacri è una persona molto composta ed educata, “che ha sempre vissuto a basso livello”, la cui famiglia ha “un’azienda che adesso è riuscita a ripartire”. Una ripartenza che al sindaco “fa piacere”. Poco importa che Aracri sia stato condannato per mafia e che sia considerato un boss di primo piano. Un atteggiamento assurdo che, anche se non costituisce concreta collusione, mostra però una pericolosa accondiscendenza o la superficiale accettazione di una presenza che, con molta calma e senza troppo rumore (come sono solite fare le mafie quando si infiltrano in nuovi territori), si radica e integra nel tessuto economico e sociale, ovviamente imponendo le proprie regole e un regime fondato sulla minaccia, che consiste spesso anche solo nel certificare la propria presenza in loco.

I ragazzi e le ragazze di Cortocircuito, per fortuna, hanno deciso di infischiarsene della paura e del silenzio diffuso, raccontando, denunciando, mostrando con grande sincerità e chiarezza una realtà che in troppi non vogliono vedere. Anzi ne provano persino fastidio. La gente del paesino è scesa in piazza (trecento persone, tra cui, a quanto pare, alcuni familiari del boss) per sostenere il sindaco e difendere la sua immagine, mentre il parroco ha accusato Cortocircuito, affermando categoricamente che la mafia non esiste a Brescello e che queste inchieste danneggiano il turismo! Insomma, ci risiamo. La solita storia. La consueta reazione scomposta di chi non vuole prendere coscienza di una realtà drammatica che li riguarda. Al Nord questo atteggiamento, in materia di mafia, è molto diffuso, soprattutto nelle realtà provinciali, ma non solo.

Probabilmente, più che per paura, ciò avviene per un fatto culturale, per il rifiuto di ammettere che quel fenomeno che, con troppa comodità, si considerava un’esclusiva delle regioni del Sud, in realtà riguarda da sempre l’intero Paese e, oggi, con percentuali sempre più elevate di infiltrazione. Il cinema, la tv, la cultura di massa dell’Italia degli anni passati hanno contribuito a costruire l’immagine di un nord bonario, nel quale le vicende di un paesino erano quelle piene di simpatia e buoni sentimenti di don Camillo e Peppone, mentre il sud era dipinto come terra esclusivamente di mafia, dove non v’era spazio per altro. Una rappresentazione che, per quanto riguarda il Meridione, non era del tutto sbagliata, ma comunque pur sempre parziale, perché mai dava spazio alle tante voci di ribellione, di denuncia, di lotta e di cultura di cui quello stesso Sud era pieno e che, sin dalla prima metà del ‘900 ha dato origine, forma e impulso al movimento antimafia.

Il Nord, invece, ha proseguito nella sua non assunzione di coscienza, lasciando così che le mafie, già nella seconda metà del secolo scorso, iniziassero l’opera di infiltrazione in un tessuto economico nel quale non vi erano resistenze, ma soltanto omertà e collusione. Oggi, dopo le inchieste, gli arresti, i maxi processi, i sequestri di beni, gli scioglimenti dei comuni per mafia, dopo che in tante regioni settentrionali cominciano a formarsi nuclei di antimafia attiva, che denuncia, combatte e informa, proseguire sulla strada della negazione è assoluta follia. Significa rimanere burro davanti alle lame delle mafie e mettere i cittadini e le loro attività economiche tra le mani sporche e i denti aguzzi dei boss e degli affiliati.

La gente di Brescello, invece di scendere in piazza per difendere un atteggiamento indifendibile, dovrebbe riflettere e cominciare a chiedersi in che condizioni si trova la loro libertà, quella che è fondamentale per il futuro dei propri figli, la libertà che in quella provincia, quasi settant’anni fa, venne conquistata da uomini e donne di grande valore e generosità, che con coraggio si liberarono degli invasori. Riflettere e intervenire, denunciare e non negare. Gli studenti di Cortocircuito hanno tracciato una strada, hanno squarciato il velo. Sarebbe stupido non approfittarne per ripulire Brescello e pretendere misure che possano tutelare i cittadini onesti che con la ‘ndrangheta non vogliono averci a che fare, né considerarla educata, né prenderci un caffè in un bar del centro.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org