Repubblica.it oggi ha reso pubblico il video dei sommozzatori della polizia (guarda qui) che esaminano il relitto affondato a Lampedusa il 3 ottobre scorso. Ci viene così mostrata da vicino la tragedia, ci vengono mostrati i cadaveri imprigionati nel barcone, sul fondo del mare. Immagini che mi colpiscono allo stomaco. Pur non essendo le prime che vedo, purtroppo.
Su quel fondo, come ci fa notare e ci racconta Attilio Bolzoni su Repubblica (guarda qui), ci sono due corpi di un uomo e una donna abbracciati. Non voglio insistere troppo su questo particolare, per tante ragioni, soprattutto perché questa indignazione, questo scuotimento d’animo vorrei che accompagnassero anche le storie dei vivi, di chi subisce a terra, alle frontiere di partenza e dentro il nostro Paese, umiliazioni, violenze e ingiustizia. Ma di sicuro quella raccontata da Bolzoni è un’immagine tremenda che dà il segno a tante cose. E che mi spezza il cuore.
Delinquenti? Criminali? Terroristi? Infetti? No, semplicemente persone che sperano e che sono disposte a rischiare la morte pur di non arrendersi alla tragedia di una condizione che trova i colpevoli soprattutto in quell’Occidente che oggi vuole chiudere le porte.
Persone che si amano e che si stringono mentre dicono addio ai sogni, ai loro cuori uniti, alla vita. Muoiono, finiscono sotto il tappeto umido davanti alla porta dell’Europa, dell’Italia, dove intanto si discute di soldi, spese, emergenze, quantità, “gestione”, di contagi inesistenti, di rischio epidemie inesistente e fasullo, strumentale, squallido come Maroni e i suoi simili. Di necessità di usare meno cuore e più cervello. Qui si discute di tutto, tranne che di umanità. Quell’abbraccio umano dentro il dolore della tragedia immane è la lezione silenziosa che chi abita e governa in questo Paese non capirà mai. E chi non capisce, chi rimane indifferente, chi vomita idiozie, chi predica la prevalenza della fredda ragione, purtroppo va detto, è identico a un nazista o a quella parte del popolo europeo che ne accettava la logica, cioè quella della matematica eliminazione di un’intera etnia.
Anche quello che si svolge nel Mediterraneo, nelle carceri e nel deserto libico, nelle frontiere greche e spagnole, nelle campagne e nei cantieri italiani, è un olocausto. Che in troppi continuano a negare e contribuiscono ad alimentare. I carnefici sono tanti. C’è solo una differenza di fondo: che questa gente potrebbe essere ancora salvata e che l’orrore potrebbe essere fermato. Non è ancora il tempo della memoria. Dovrebbe essere quello dell’impegno, dell’azione solidale, dell’accoglienza e dell’umanità. Prima che sia troppo tardi. Per tutti.
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