Le bare sono finite nuovamente lì, in fila silenziosa sulla banchina di un porto. Sul Mediterraneo. La cerimonia funebre, l’obitorio, infine l’oblio, a cui certamente, al contrario degli annunci e delle parole, saranno eternamente condannati. Donne, bambini, uomini divorati dal mare, inghiottiti da quella umida coperta blu divenuta il boia involontario di sogni, speranze, corpi, occhi, gambe, cuori e cervelli. Pensieri e diritti. Negati. La retorica del potere, sia di chi ce l’ha che di chi vorrebbe avercelo, ha già iniziato a risuonare, ma questa volta si è frettolosamente trasformata in un deprimente scarico di responsabilità tra Italia ed Europa, in una gara a chi ha sulla coscienza quei morti, in un dibattito sull’operazione Mare Nostrum, ossia il pattugliamento del Mediterraneo stabilito dopo l’altra tragedia del 3 ottobre scorso, a largo di Lampedusa.

Sono passati sei mesi. Sei mesi di nulla, un periodo abbastanza lungo nel quale si sarebbero potute mettere in campo, finalmente, le soluzioni più umane, adeguate ed efficaci per impedire il ripetersi di questi drammi. Sei mesi sprecati. Perché si muore ancora in mare, i trafficanti continuano a gestire il loro mercato di carne umana, in Italia si continua a lucrare sulla pelle di donne, uomini e minori provenienti dall’inferno, dalla guerra, dalle torture, dalle persecuzioni, dalla miseria. Non è cambiato nulla, sono rimasti gli stessi vizi, le stesse vergogne e, purtroppo, gli stessi personaggi a cui si dà troppo spazio per dire ciò che in una nazione civile dovrebbe essere perseguito per legge, introducendo il reato di disumanità o di oltraggio all’umanità. Le parole sono sempre le stesse: “invasione”, “emergenza”, “vanno aiutati a casa loro”, “sono troppi”, “ci rubano il lavoro”.

Ultimamente è tornata di moda anche la falsa storia delle malattie e del pericolo contagio, del “rischio epidemia”, come ha rigurgitato, tra gli altri, anche Roberto Maroni, il giustiziere dei disperati, l’alfiere dei respingimenti. Un falso ignobile, il classico spauracchio da benpensanti trasformato in argomento ideale per creare psicosi (che potrebbe costituire anche una fattispecie di reato, quello di “procurato allarme”), e puntare all’aumento del consenso elettorale presso chi ragiona con lo stomaco e l’intestino invece che con la testa. Ripetono che non siamo in grado di “gestire l’emergenza”, che siamo al collasso. Per dare supporto alle proprie idiozie sul presunto collasso italiano, utilizzano strumentalmente anche i dati comunicati da Frontex che parlano di un incremento dell’823% degli arrivi (periodo gennaio-aprile 2014) rispetto allo stesso periodo dell’anno 2013.

Dati che se non letti per intero, confrontando i numeri di ciascun anno e analizzando i naturali andamenti altalenanti dei flussi, vengono spacciati per conferme di quella “invasione” che non corrisponde alla realtà e che l’Italia, anche a livello governativo, utilizza come basi per piagnistei e lamentele nei confronti dell’Ue. Ma i dati reali ci smascherano: infatti, su 435mila domande d’asilo presentate nel 2013, la Germania ne ha raccolte 127mila (il 29% del totale), la Francia 65mila (15%), la Svezia 54mila (13%), il Regno Unito 30mila (7%), l’Italia ha raccolto 28mila domande, appena il 6% del totale. L’emergenza quindi non esiste di per sé, o meglio non è legata ai numeri, ma alla volontà politica.

Sono venti anni che conosciamo momenti di grande intensificazione dei flussi, poi a riduzioni notevoli, poi ancora intensificazioni e così via. E non dimentichiamo poi che gli sbarchi sono solo una piccolissima parte dell’immigrazione che approda in Europa. Eppure continuiamo a lamentarci, ogni volta, allargando le braccia e puntando il dito, pensando che non sia possibile gestire la situazione. Bugie. La verità è che in questo Paese nevrotico e ignorante, non si riesce ad affrontare il tema drammatico dell’immigrazione in maniera seria e ragionata, partendo da un punto di vista fondamentale, quello dell’umanità. Si ragiona con odio, disprezzo per gente che abbiamo il dovere di accogliere e che invece è divenuta merce su cui speculare, politicamente ed economicamente.

Se è vero che tutti gli stati dell’Unione dovrebbero condividere un’azione di lotta al traffico internazionale di esseri umani, ma soprattutto rivedere il modello di “cittadella-fortezza” che, in nome di un concetto distorto di sicurezza, ha umiliato la libertà di movimento dei migranti, mostrando severità spietata nei confronti dei rifugiati e degli immigrati in genere, è anche vero che l’Italia, nella gestione interna del fenomeno, ha mostrato il suo volto peggiore. Perché la colpa è solo nostra se consentiamo che le strutture di “accoglienza” siano per la gran parte in mano a chi prende soldi (tanti) e tratta i suoi ospiti come animali, in ambienti inadeguati e in condizioni igieniche precarie. Siamo noi che gestiamo il fenomeno migratorio in questo modo, siamo noi che approviamo leggi vergogna che ci costano sanzioni in Europa, siamo sempre noi che mostriamo ostilità a quelli che chiamiamo “invasori”. Siamo noi che vogliamo gli accordi con paesi che massacrano e stuprano e uccidono i richiedenti asilo pur di toglierci “il problema”. Però poi facciamo finta di piangere quando assistiamo alla tragedia.

E la politica? Invece di lamentarsi e litigare con i vertici dell’Unione, cosa ha fatto in questi mesi (e anni)? Ha promosso l’istituzione di un corridoio umanitario in Libia e Tunisia? Ha promosso con forza e decisione il superamento delle regole di Dublino e l’istituzione di un permesso di soggiorno europeo che permetta ai richiedenti asilo di raggiungere le loro mete, che quasi sempre sono paesi del centro o del nord Europa, come ad esempio Germania o Svezia? Ha prodotto leggi che introducano sanzioni durissime nei confronti di chi gestisce come lager i CARA o i CIE o gli SPRAR? Ha prodotto una legislazione sull’asilo che sia degna di un paese civile e che velocizzi le procedure per la valutazione delle richieste? Ha abolito, senza alcun compromesso, l’incostituzionale reato di clandestinità o la vergognosa legge Bossi-Fini, o riformato, in generale, l’attuale normativa in materia, che ancora oggi tratta, allo stesso modo di chi in Italia viene per cercare lavoro, anche quelle persone che vengono da luoghi nei quali subiscono violenze indicibili, per poi rimpatriarli condannandoli così a morte o tortura (un esempio su tutti: i nigeriani)?

La risposta a tutte queste domande è una sola: no. Anzi, qualcuno (il premier) ha pure il coraggio di sostenere che l’Italia ha fatto e fa il proprio dovere. Di fronte a questo, risulta inutile chiedere più soldi all’Europa o litigare con i suoi vertici. Perché le responsabilità dell’Europa bisogna farle notare partendo da un nostro comportamento virtuoso. È una questione di credibilità. Peccato che credibilità questo Paese non ne abbia, lo dimostra lo spessore dei personaggi che popolano la scena politica, la loro indifferenza o il loro sguardo di accusa o di scherno nei confronti di chi da oltre due decenni svolge accoglienza vera, dal basso, propone soluzioni, mostrando concretamente come sia possibile accogliere e come in Italia ci sia spazio per tutti. Anzi, deve essercene, perché senza i migranti e il loro lavoro questa nazione sarebbe già morta. Solo che farlo capire agli italiani bombardati dalla disinformazione e dalla stupidità è un compito arduo.

E personalmente, oggi, per la prima volta, sono pessimista. Soprattutto se l’unica soluzione verso cui tutti sembrano convergere è organizzarsi per permettere ai profughi di chiedere asilo nei porti di partenza. In che modo? Soprattutto, mi chiedo: e gli altri? Tutti coloro che muoiono nel deserto prima di giungere nei paesi di partenza verso il Mediterraneo? Moriranno ancora. E quelli a cui il diritto di asilo viene negato, per tutta una serie di ragioni, perché non c’è una guerra in corso e perché è difficile spesso dimostrare rischi e violenze subite, che faranno? Continueranno ugualmente a salire sulle barche, prendendo altre rotte, poiché non potranno mai fidarsi delle Ong e dei governi internazionali, sapendo che difficilmente potrebbero riuscire ad ottenere una risposta positiva.

Oppure saranno rimpatriati. Direttamente da lì. Come dire: lontano dalle associazioni e dai confini europei, certe cose si possono compiere con meno clamore. Senza disturbare. Che ciò che le istituzioni preferiscono considerare un problema e non un fenomeno epocale, è meglio risolverlo lontano dai nostri occhi e dalle nostre coscienze. A qualcuno, anzi alla maggior parte, farà comodo. Perché non siamo capaci di guardarla a fondo questa dannata realtà. Non ci conviene. Al massimo possiamo azzannarla al momento giusto, come un immenso branco di sciacalli.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org