Tra parole, promesse, foto, tweet, prese di posizione e repentini passi indietro, il circo continua il suo show. Uno show frenetico, nel quale non c’è spazio per una pausa, per il dialogo, per le considerazioni. Si faccia quel che si deve, si disegnino le scenografie, si impartiscano le istruzioni a ciascun tecnico e si distribuiscano i copioni tra i vari attori: clown, trapezisti, domatori, nani, ballerine, animali ammaestrati, mangiafuoco, giocolieri. E la musica? Non serve che sia di qualità, forse non occorre affatto. Anzi, se qualcuno prova a proporre una buona sinfonia, con competenza, bravura e avvertendo sull’importanza della qualità, l’ordine è di reagire, ribattere che tutto quel che è saggio, classico, razionale, frutto di competenza e studio, è vecchio, superato, sbagliato. Così la sinfonia migliore diventa musica stonata da “vecchio trombone”.

L’esperienza e la conoscenza, nel paese degli arroganti, sono da bandire, hanno il bollo del vetusto e poco contano la storia, l’onestà intellettuale, l’autonomia di pensiero che rappresentano. Tutto va sacrificato in nome della velocità, della necessità di affrettare il passo, demolendo resistenze e logiche, sulle cui ragioni c’è poco da discutere o dialogare. La parola d’ordine del renzismo è la fretta. Cambiare tutto quel che si può in una maniera inedita nella storia della Repubblica. Via il Senato elettivo, al suo posto una camera composta da membri scelti tra esponenti degli enti locali e delle regioni o nominati dal presidente della Repubblica. Una camera che non potrà votare la fiducia al governo e che avrà però il potere importante di intervenire sulla modifica della Costituzione, con pari prerogative rispetto ai membri elettivi della Camera dei Deputati.

Una violazione assurda del principio di sovranità popolare che è alla base della nostra democrazia. Zagrebelsky e Rodotà, due tra i più importanti costituzionalisti italiani, hanno fatto notare i limiti della riforma che Renzi e Berlusconi vogliono, unitamente all’incremento dei poteri per il presidente del Consiglio. La risposta del giovane premier è stata piccata, offensiva, fuori luogo. Chissà quanti fra i sostenitori dell’ex sindaco avrebbero reagito con indignazione a un atteggiamento simile, se a metterlo in atto fosse stato direttamente il Caimano o uno dei suoi. Del resto è risaputo che in Italia le reazioni variano a seconda delle convenienze. Rimane il fatto che, mentre la minoranza del Pd e il Movimento di Grillo pensano a fare fronte comune contro il progetto di riforma dettato dal governo, la fretta continua a farla da padrona. Così come l’arroganza, la stessa usata contro le parti sociali per quel che concerne gli interventi sul lavoro e sui contratti, che non solo non risolvono la precarietà selvaggia, ma non danno ai lavoratori alcuno strumento di tutela concreto.

Per non parlare della legge elettorale, che ricalca in peggio (sembrava impossibile, ma Renzi ci è riuscito) il famigerato Porcellum, quello che la Consulta ci ha ordinato di modificare proprio per le sue gravi carenze, a partire dall’assenza delle preferenze. Ora, lasciando da parte questo ultimo discutibile aspetto, ci sono due punti davvero fondamentali che fanno paura: il primo è lo sbarramento elevato (l’8%) che soffoca la rappresentatività anche di forze che contano qualche milione di elettori e non certo poche migliaia; il secondo è il premio di maggioranza che permette a chi ha avuto il 37% dei consensi di ottenere una maggioranza bulgara. Se uniamo questo secondo aspetto all’esistenza di una sola camera dotata del potere di fiducia e di produzione legislativa e ai maggiori poteri del premier, ci possiamo rendere conto (forse non tutti, purtroppo) del rischio altissimo per la nostra democrazia.

Poniamo che Renzi sia un democratico e non un allergico al dialogo come invece sta dimostrando in questi suoi primi passi al governo, non è comunque il caso di imparare, per una volta, che quando si cambia il Paese lo si deve fare pensando a chi verrà dopo, al futuro e ai pericoli che una nostra decisione di oggi potrebbe generare domani? In Italia si fa sempre questo errore, in ogni ambito, dalla politica alla gestione dell’ambiente e del territorio. Non si guarda mai avanti, non si previene mai, non si pensa al domani. Immaginate anche solo per un momento se ad essere eletto con questa legge e a governare una nazione riformata secondo questa volontà, fosse uno come Berlusconi o lo stesso Grillo o, chissà, qualcuno di ancora più autoritario o un delinquente: pensate ai poteri che consegneremmo in mano a costui.

La fretta. Dicono che si deve cambiare, che non si può più temporeggiare, che ce lo chiede il Paese. Ma cosa chiede realmente il Paese? Ripetono, esibendolo come un merito, che in poco tempo hanno fatto quello che altri in tanti anni non sono riusciti a fare. Come se la giustezza di una scelta o di un provvedimento si misurassero in giorni o mesi, in rapidità e non in qualità. Come se fossimo dinnanzi a una gara per costruire una casa solida e vivibile per tutti e una delle aziende partecipanti decretasse la propria vittoria per aver messo in piedi l’edificio in pochi mesi: poco importa se il calcestruzzo è di scarsa qualità, se non si sono sentiti i pareri dei tecnici, se le scale non sono in sicurezza, se non ci sono le uscite di emergenza, se le finestre non sono fissate bene e così via.

Anche in quel caso, probabilmente, se un paio di esperti ingegneri di riconosciuto valore facessero notare queste carenze, i nostri re della fretta risponderebbero etichettandoli come dei vecchi tromboni che non vogliono cambiare le regole. Ecco, forse qualcuno non se ne accorge o non dà il giusto peso a quanto sta accadendo: ma dentro quella casa ci abitiamo noi. E sarebbe meglio fidarsi di persone competenti e disinteressate piuttosto che di dilettanti che, per di più, agiscono in compagnia di chi da anni costruisce abusivamente sul terreno eroso della democrazia.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org