Qualcuno ci è cascato già, altri ci cascheranno ancora. Continueranno a chiamarla rivoluzione, proveranno a farla entrare nella storia. Altri, all’interno, nelle piazze, si sentiranno tronfi, penseranno di essere la parte migliore di questo Paese, giudicheranno gli altri, racconteranno ai figli o ai nipoti di aver bloccato l’Italia. Di aver marciato con il tricolore in pugno o con i trattori. Uniti, compatti e pacifici. Chissà se qualcuno di loro racconterà anche delle minacce, dei libri da bruciare, dei volantini che annunciano ritorsioni omicide, delle spranghe in mano o dei calci alle vetrine dei negozi per “convincere” i commercianti a chiudere. O di quella marcia con il braccio destro alzato per un saluto adeguato agli slogan dall’eco oscuro e funereo. Ce lo dirà il tempo e saranno fatti privati e senza un impatto sulla storia. Almeno ce lo auguriamo. Perché questo movimento, chiamatelo dei forconi o come meglio vi pare, lascerà solo il caos e qualche danno, nient’altro.

I contenuti, la loro necessaria sintesi che dovrebbe star dietro a una protesta diffusa, nazionale, a oltranza, seria, non compaiono mai, a meno che non si voglia spacciare per tali gli slogan agghiaccianti, il no all’Europa, il no alla politica in quanto tale, le farneticazioni che sfociano persino nell’antisemitismo, le minacce, le accuse generalizzate. Nemmeno l’identificazione del nemico è chiara. Perché si urla contro questa politica e poi si va in piazza guidati da gente come Mariano Ferro, che ha vissuto cercando spazio tra le maglie clientelari del centrodestra siciliano, oppure si accolgono militanti di Forza Nuova e si accetta l’endorsement del Pdl, di Brunetta, di Salvini e della Lega, cioè quella stessa Lega che a Roma, a parte far girare soldi per la propria tesoreria, in tanti anni non ha fatto alcunché per le imprese del nord, per le quote latte e per gli altri problemi dell’agricoltura, che sono entrati in maniera disordinata e sgangherata nel mucchio qualunquista delle rivendicazioni delle forchette.

Forchette che sono ben organizzate invece nel fomentare il clima di intimidazione da cui traggono forza. Comportamento tipico di chi non ha realmente voglia di parlare con la gente, ma solo di imporre e imporsi, in nome di un’azione che produca qualcosa, anche un osso in più da leccare, per i propri interessi particolari. E, ripeto, nessuno vuol negare che dentro questo movimento si siano infilati precari, disoccupati, piccoli imprenditori in rovina, studenti sprovveduti, i soliti ragazzini che, per età e per temperamento giovanile, si lasciano affascinare o ammaestrare da queste forme di presunta ribellione. Qualcuno, però, come già avvenne due anni fa, sta usando tale aspetto per legittimare una protesta che nulla ha a che spartire con il concetto di rivoluzione, ma che in realtà è un rigurgito reazionario della peggiore specie, senza una idea di fondo, senza cultura e con velleità qualunquiste che non rinunciano alla possibilità di uno sbocco violento ed eversivo.

D’altra parte, uno dei rischi più gravi nei momenti di crisi acuta è che si crei terreno fertile per gli estremismi, soprattutto a destra. Ecco perché è da irresponsabili, oltre che squallido, fomentare questa gente, come fa chi offre sponde politiche, allo scopo di trasformarla in bacino elettorale. Speriamo che un giorno non si debbano pentire di auguri e incitamenti dispensati senza troppo pudore. Qualcuno dovrebbe farsi un esame di coscienza e misurare le parole. E tenere sempre alta la spia della nostra memoria. Perché sbagliamo tutti.

Troppe volte ci dimentichiamo di quanto sangue è stato versato per questa Repubblica, quanti atti generosi, quanto sacrificio. Troppe volte ci facciamo convincere che questa non è una democrazia e ci incazziamo, parliamo addirittura di regime, senza capire che non esiste alcun regime proprio nel momento stesso in cui ne stiamo parlando liberamente. Troppe volte non abbiamo detto nulla, non abbiamo fatto abbastanza per eliminare le imperfezioni gravi e le ingiustizie che sono insite in ogni gestione democratica. Troppe volte non abbiamo capito che il problema non è la legalità di un’azione, perché di fronte agli atti illegali di una democrazia (vedi le leggi razziali contro gli immigrati) si può anche disobbedire (ad esempio, accogliendo in casa propria o aiutando un immigrato irregolare), ma che un’azione anche dura (ma sempre democratica, mai eversiva) richiede un ragionamento, delle basi culturali, un’attività precedente di respiro sociale e politico vero, non una condivisione rarefatta e disordinata di una condizione o l’accozzaglia qualunquista di interessi privati.

Io la difendo questa mia democrazia, difendo le mie istituzioni, il mio Paese nato dalla Resistenza. Lo difendo dagli italiani. Da quegli italiani che si lamentano e si coagulano solo quando c’è da usare monetine e forche contro gli stessi che hanno votato e coccolato per anni in cambio di briciole o avanzi. Quelli che dicono che dovrebbe crollare tutto e poi andrebbro a Roma a stringere la mano a Berlusconi. Io la voglio migliore la mia democrazia, sono disposto anche ad una “rivoluzione dei garofani” italiana (chissà quanti tra i forconi capiscono di cosa sto parlando…), ma non a questo afflato reazionario, non a questa spinta volgare di gente che ha passato anni a ingozzarsi di clientele e ad appostarsi dietro le porte dei politici potenti, localmente o nazionalmente. Non sono disposto a solidarizzare con questo risveglio indotto di gente che ha preferito lamentarsi senza mai partecipare o interessarsi di un cavolo di nulla che non fossero gossip o stronzate o il miglior prezzo dell’erba o del fumo.

No, questa Italia che inneggia al colpo di Stato senza capire dove sta andando, senza interrogarsi su chi sono quelli che dalle retroguardie spingono e senza accorgersi delle proprie passate e presenti responsabilità, non è la mia. Così come non è la mia quella di chi fa politica stando attento a non definirsi politico, decide le sorti del Paese senza stare in Parlamento, mandando avanti gli scagnozzi, compilando vergognose liste di proscrizione per chi la pensa diversamente.

Sciascia disse che quando imbecilli e furbi si alleano allora bisogna fare attenzione, perché il fascismo è alle porte.

Lo ripeto ancora una volta: non chiamatela rivoluzione.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org