Talvolta le proprie origini possono trasformarsi in un’ingiusta condanna a morte. È questo che, con ogni probabilità, è accaduto ad Attilio Manca, giovane ma già affermatissimo urologo di origine messinese (la città natale del padre è Barcellona Pozzo di Gotto) ritrovato senza vita nella propria abitazione di Viterbo il 12 febbraio del 2004. A 7 anni di distanza si cerca ancora la verità sulla sua morte, si aspetta ancora che sia fatta giustizia per quel giovane strappato prematuramente alla propria vita ed ai propri affetti. Dapprima il decesso fu classificato (ed archiviato) come suicidio: gli inquirenti sostennero che Attilio, affascinante uomo in carriera la cui vita professionale era costellata di grandi soddisfazioni, si fosse tolto la vita con due iniezioni letali di farmaci. Ma tale ipotesi non sembrava affatto compatibile con tanti particolari non proprio trascurabili dell’intera vicenda.
Il suicidio, per esempio, non spiegava come mai il corpo di Attilio presentasse notevoli tumefazioni e fosse stato trovato in una pozza di sangue, né sembrava comprensibile perché un mancino puro come lui si fosse fatto le due iniezioni letali con la mano destra. L’ipotesi degli inquirenti tra l’altro strideva con la presenza su una piastrella del bagno delle impronte di Ugo Manca, il cugino di Attilio, un pregiudicato che sostenne di averle lasciate il 15 dicembre del 2003 in occasione di una visita al cugino. Giustificazione incompatibile però con le dichiarazioni della madre di Attilio secondo cui, nei giorni precedenti al Natale di quello stesso anno, lei ed il marito erano stati ospiti del figlio e lei stessa si era occupata di pulire meticolosamente l’intera abitazione.
Inoltre, ad alimentare i sospetti su Ugo Manca due circostanze particolari: il fatto che il 13 febbraio 2004, il giorno dopo la morte del cugino, tentò di entrare nel suo appartamento, oltre alle notevoli pressioni che esercitò per il rapido dissequestro della salma. Curiosa ma anche decisamente inquietante infine la “coincidenza” che, come hanno più volte dichiarato i genitori, Attilio, nell’autunno del 2003, all’insaputa dei propri colleghi, si fosse recato in Francia per assistere ad un intervento chirurgico, proprio nello stesso periodo (ottobre 2003) in cui è noto che Bernardo Provenzano si recò a Marsiglia per sottoporsi ad una delicata operazione alla prostata. Alla luce di tutte queste circostanze sembrerebbe plausibile che la mafia di Barcellona abbia seguito, alla stregua di una maledizione, Attilio sino a Viterbo e che, dopo averlo usato, si sia liberata di un testimone scomodo.
Attilio Manca potrebbe essere morto per le sue straordinarie conoscenze nel settore medico dell’urologia e per il suo legame di sangue con Barcellona. Del resto non sarebbe certamente la prima morte causata da sfortunate circostanze. Attilio, come Graziella Campagna, morta a 17 anni per aver sfortunatamente trovato, lavorando in una lavanderia, un’agendina che non doveva essere trovata; Attilio come Beppe Alfano, giornalista di Barcellona morto a causa della propria bravura e della propria integrità. Vittime dapprima della mafia e poi dello Stato, incapace di offrire ai loro parenti ed alla loro memoria verità e giustizia.
Malgrado nel marzo 2007 siano stati emessi dieci avvisi di garanzia per la morte di Attilio Manca ad oggi l’inchiesta è “momentaneamente” (già da 7 mesi) sospesa in attesa delle decisioni del Gip di Viterbo, Salvatore Fanti, chiamato a decidere se accettare la terza richiesta di archiviazione presentata dal Pm Renzo Petroselli o se far continuare le indagini. Lo scorso 11 febbraio, a Barcellona, è stata organizzata una giornata di commemorazione e ricordo di Attilio perché le vittime come lui sono troppo spesso dimenticate ed è proprio nel loro ricordo che ci si deve invece impegnare a cambiare la Sicilia e l’Italia, perché non sia più ammissibile che la bravura professionale, l’integrità o la semplice provenienza geografica conducano alla morte.
Anna Serrapelle -ilmegafono.org
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