Dopo 22 anni si riapre il processo Rostagno, il sociologo e giornalista torinese ucciso dalla mafia a Lenzi di Valderice, paesino in provincia di Trapani. I giudici del tribunale di Trapani hanno così deciso di portare in aula quello che, ancora oggi, è uno dei misteri più complessi. Per anni, infatti, si sono susseguite diverse piste alla ricerca di ciò o di chi avrebbe portato all′uccisione del giornalista. All′inizio, abbandonata la pista mafiosa, in quanto venne ritenuto improbabile che ad un sicario di Cosa Nostra potesse scoppiare in mano il fucile (venne ritrovato infatti un pezzo dell′arma vicino al luogo del delitto ), gli inquirenti fecero diverse ipotesi: si pensò, ad esempio, che l′omicidio potesse essere collegato all′omicidio di matrice politica  del commissario Luigi Calabresi, avvenuto molti anni prima; un′altra ipotesi, invece, fu quella che vide protagonista il centro Saman, una comunità di meditazione e terapeutica per i tossicodipendenti creata dallo stesso Rostagno.

Sulla base di tale ipotesi, quindi, ad uccidere il giornalista non sarebbe stata la mafia, ma una persona a lui molto vicina, creando così ancor più confusione sul mistero che avvolgeva il delitto. Finalmente, dopo diverse indagini aperte e poi chiuse, depistaggi vari ed una lentezza diventata ormai caratteristica tipica del sistema giudiziario italiano, qualcosa sembra essersi mosso per il verso giusto. Innanzitutto, è stata ripresa e confermata l′ipotesi che fu proprio la mafia ad uccidere Rostagno. Una mafia che, nel trapanese, è stata sempre molto forte e che in questo caso specifico ha due nomi molto conosciuti: quello di Vincenzo Virga, superboss di Trapani, e Vito Mazzara, killer di lungo corso, uno dei più esperti. I due, in carcere per dei reati commessi precedentemente al delitto, hanno già preso parte al processo che ha avuto inizio il 2 febbraio.

Per l′occasione, i giudici del Tribunale di Trapani si sono limitati ad eseguire la lettura dei capi d′accusa rivolti ai due mafiosi e ad enumerare i diversi enti che hanno voluto costituirsi parte civile nel corso del processo, tra cui la città di Trapani, il Comune di Erice, le diverse associazioni antiracket (Libera in primis), ma soprattutto alcune delle persone più vicine a Mauro Rostagno: la compagna Elisabetta “Chicca” Roveri, l′ex moglie Maria Teresa Conversano, le due figlie Monica e Maddalena ed anche la sorella Carla. Una dimostrazione di affetto e solidarietà che si è diffusa anche all′esterno. Proprio in occasione della prima seduta, centinaia di ragazzi trapanesi hanno voluto presenziare al processo: giovani con un′età massima di 20 anni, giovani che appartengono ad una generazione nuova e pura. Giovani che, pur non avendo vissuto  personalmente la vicenda di Rostagno o di altre vittime di mafia, affrontano con coraggio le difficoltà a cui vanno quotidianamente incontro, schierandosi apertamente contro la mafia, un male che  distrugge la vita della gente migliore.

Per questo i ragazzi di Trapani hanno voluto presentarsi in aula. Per Mauro Rostagno, un “ragazzo” come loro. Commossa, la figlia Maddalena ha commentato l′inaspettata presenza : “È come se questi giovani avessero conosciuto mio padre, è come se avessero fatto tesoro delle cose che mio padre diceva nel 1988. Oggi è una vittoria di Mauro”. Ma perché Mauro Rostagno venne ucciso? Secondo quanto appreso da numerose indagini, il giornalista avrebbe intuito la presenza di un grosso traffico di armi e di rifiuti tossici che aveva in Trapani una tappa importantissima. Come spesso capita in occasioni del genere, insomma, anche Rostagno aveva incominciato a dar fastidio a Cosa Nostra. L′idea che certe rivelazioni potessero diventare pubbliche non avrebbe certamente favorito gli scopi della criminalità organizzata. Rostagno andava eliminato, così come tanti suoi colleghi, uomini coraggiosi ed onesti.

Finalmente, quindi, dopo 22 anni di attesa, anche questo delitto potrà avere un proprio processo. Quali saranno le sentenze definitive non si sa ancora, ma ciò, senza alcun dubbio, rafforza quella minima speranza di giustizia che albeggia ancora in molti di noi. Rostagno non era un eroe, ma un semplice cittadino che, per mezzo di un programma televisivo, ha voluto deridere la mafia, colpirla. E ci è riuscito due volte: ha colpito la mafia con mezzi pacifici, con la verità, raccontandola. E la presenza di quei giovani durante la prima udienza del processo non è altro che un segno di un piccolo cambiamento, di qualcosa che sta per nascere, si spera, dalle menti e dai cuori delle nuove generazioni. La figura di Mauro Rostagno, vittima di un sistema sporco e crudele, è ancora viva e vivi devono rimanere i suoi insegnamenti, le sue battaglie, il suo coraggio.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org