Nino Di Matteo, il noto procuratore di Palermo e al momento uno dei magistrati più a rischio in Italia, non farà parte della Direzione Nazionale Antimafia almeno per i prossimi sei mesi. Così è stato deciso dal ministero della Giustizia che, a distanza di qualche settimana dall’approvazione del CSM e in totale contraddizione con quanto è stato confermato solo un mese fa, ha rifiutato il suo trasferimento posticipandolo ed esponendo il procuratore ad ulteriori rischi in una città in cui deve lottare ogni giorno per la propria sopravvivenza. La decisione è stata giustificata come un’azione intrapresa per motivi di sicurezza.

Il procuratore siciliano, d’altronde, è ben abituato ai rifiuti continui da parte delle istituzioni: in passato, infatti, lo stesso Di Matteo aveva inviato la propria candidatura alla Dna per ben due volte, ricevendo in entrambi i casi delle bocciature dal sapore particolare: se per la prima erano stati premiati magistrati con un livello d’inglese più alto ed una conoscenza dell’uso di Skype più consona, la seconda bocciatura era dovuta al fatto che mancava un testo da allegare alla candidatura stessa, un testo che, a quanto pare, non poteva mancare ed essere sostituito dall’esperienza ventennale dello stesso procuratore. Benedetta burocrazia.

Lo scorso mese, finalmente, il CSM aveva dato l’ok perché Di Matteo si spostasse negli uffici di via Giulia, a Roma, premiando così le “ottime qualità professionali” e il “solido e vasto bagaglio di esperienza” maturato nelle indagini sulla criminalità organizzata, oltre alle “capacità di coordinamento e impulso investigativo”, “l’impareggiabile tenacia” e “l’ineguagliabile spirito di sacrificio”. Lo scopo principale del procuratore, d’altronde, sta nel poter concentrarsi appieno sul faticoso processo che riguarda la trattativa Stato-mafia, conscio che dagli uffici di Roma potrebbe ottenere non solo informazioni più importanti, ma soprattutto una mobilità e un raggio d’azione decisamente più ampio.

Purtroppo, però, la scorsa settimana è giunta l’ennesima bocciatura: dal ministero, come già accennato poc’anzi, è stato negato quello scatto di carriera tanto desiderato (ed aggiungeremmo meritato) da Di Matteo. Dalle note del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria del ministero stesso si evince che la causa dello stop al procuratore è dovuta a motivi di sicurezza, dato che, una volta entrato a far parte della Dna, eventuali spostamenti organizzati e prevedibili da Roma a Palermo potrebbero esporre lo stesso Di Matteo a un possibile e più facile attacco militare da parte della criminalità organizzata. “Sono convinto – ha affermato però il procuratore – che vi fossero gli strumenti idonei a coniugare il mio diritto a essere trasferito nella nuova sede con le esigenze di assicurare la continuità del mio lavoro nel processo”.

È evidente che qualcosa non vada come dovrebbe nei piani alti delle istituzioni che hanno (o che dovrebbero avere) a cuore la giustizia dell’intero Paese: se per due volte uno dei procuratori più importanti d’Italia è stato preferito ad altri e quindi bocciato; se la terza volta lo si è dapprima illuso e poi rifiutato con motivazioni inconsistenti (davvero si crede che a Palermo sia più sicuro?); se, infine, il ministero rifiuta quanto approvato dal Consiglio della Magistratura, tutto ciò non può che portare ulteriori enormi punti interrogativi.

Si vuol davvero scoprire quanto accaduto 25 anni fa? Se la risposta è no, chi o cosa lo impedisce? Ed infine, perché mettere ulteriormente a rischio una persona, un servitore dello Stato già più volte minacciato e non più al sicuro in quella città in cui adesso si trova costretto a restare? La speranza è che qualcosa cambi in fretta, ma soprattutto che non vi sia bisogno di un’altra morte eccellente perché le coscienze (più o meno pulite) si risveglino dal torpore omertoso che le avvolge.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org