Oltre ad essere un’ancora di salvezza per l’ambiente, la Green Economy è anche una fonte innovativa di lavoro e ricchezza, stando alle ultime dichiarazioni di Guglielmo Epifani. L’ex segretario della Cgil ha scelto il tema del rapporto tra lavoro e Green Economy in occasione della conferenza per il lancio dell’Associazione “Bruno Trentin”, nuovo laboratorio di riflessione sindacale. La corsa dell’Italia al nucleare rischia di rallentare ulteriormente il progresso e la crescita economica, che invece prevede una svolta verso il futuro rappresentato dalle fonti d’energia alternative, così come dimostrano i paesi più all’avanguardia nel settore.
Alla conferenza ha partecipato anche il teorico della “terza rivoluzione industriale”, Jeremy Rifkin, il quale ha esposto chiaramente i vantaggi di una conversione alla Green Economy: più posti di lavoro, distribuzione più equa della ricchezza (sottratta quindi agli oligopoli), e, non ultima, la protezione da blackout e carenze energetiche, oggi sempre più frequenti.
Pochi decenni fa, la terza rivoluzione industriale sembrava quasi un’utopia, ma i dati e gli eventi attuali dimostrano che invece è definitivamente iniziata, soprattutto in quei paesi, per cosi dire, “emergenti”: Cina, India e Sud-Est asiatico cominciano a farsi strada nei mercati internazionali, dotandosi il più delle volte di tecniche e fonti energetiche obsolete (combustibili fossili in primis), mentre i paesi industrializzati propriamente detti (il cosiddetto Nord del Mondo) si stanno dotando di tecniche avanzate per lo sfruttamento di energia pulita. In prima linea troviamo ancora una volta gli Stati Uniti, che, grazie a Barack Obama, hanno avviato una seria politica del settore. In quanto parte della sfera industrializzata e sviluppata del globo, anche l’Italia dovrebbe seguire a ruota l’esempio dei paesi ricchi, ma i fatti dimostrano il contrario: siamo ancora legati al passato, al combustibile fossile, all’industria vecchio stampo, al nucleare.
Secondo Epifani, non ha senso installare nuovi impianti nucleari, se oggi gli investimenti dovrebbero essere fondamentalmente rivolti allo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili: il tutto darebbe spazio a nuove quantità di scorie di difficile smaltimento e a nuovi rischi per le popolazioni ed i lavoratori. Ciò che chiedono i sindacati sono nuovi posti di lavoro, cosi come ha indicato anche l’Unione Europea, imponendo agli stati membri un taglio netto delle emissioni tossiche, che si verificherà solo se sarà attuata una definitiva e concreta corsa al rinnovabile, pena salate sanzioni. L’Italia si dimostra ancora in controtendenza: l’88% delle fonti energetiche sono di tipo fossile-combustibile.
Come spiega Rifkin, continuare su questa scia ci potrebbe rendere in futuro responsabili di nuovi disastri ambientali, e soprattutto, ci renderebbe i principali colpevoli di inquinamento ed effetto serra. Facendo alcuni calcoli sulla disponibilità di posti lavoro creati dal rinnovabile (oggi in Italia sono circa 100mila), si stima che per la produzione di un terawattora di energia elettrica, dovrebbero essere impiegati 918 addetti per l’eolico, 75 per il nucleare. In termini di ricchezza, qual è la strada più conveniente? La risposta è semplice, oltre che chiara.
Laura Olivazzi -ilmegafono.org
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