Sono passati vent’anni e ancora oggi la verità stenta ad emergere, a rivelarsi. Tanto, troppo tempo è trascorso da quel 27 maggio 1993 quando, nei pressi della Torre dei Pulci, a Firenze, un’autobomba ha causato 5 vittime e tanti danni. E diffuso tanta paura. Ancora oggi, infatti, non si può dimenticare quella che fu la strage di via dei Georgofili, dal nome  della via che ospitava l’Accademia dei Georgofili, sita  proprio nella stessa torre colpita dall’attentato. Quel maledetto giorno, un’intera  famiglia (4 persone, la componente più piccola era una bambina di soli 50 giorni) e un giovane di 22 anni persero la vita. Ben 48 furono i feriti. Anche la prestigiosissima Galleria degli Uffizi, situata a pochi passi dal luogo della strage, subì pesanti danneggiamenti, tra cui la perdita di numerose ed importanti opere d’arte di livello internazionale.

Soltanto molti anni dopo, la magistratura, grazie anche all’impegno di un magistrato d’eccellenza come Pierluigi Vigna, è riuscita a risalire ai mandanti della strage, condannando all’ergastolo esponenti di spicco di Cosa nostra, come Bernardo Provenzano, Salvatore Riina (ideatore della strage), Giuseppe Graviano, Francesco Tragliavia e Cosimo D’Amato, pescatore siciliano che avrebbe fornito il materiale per questo attentato, ma anche per quelli di Milano e Roma avvenuti nello stesso anno. A venti anni da quella strage, comunque, qualcosa continua a non quadrare, a non convincere. Su un punto c’è sicuramente condivisione e certezza: a colpire è stata la mafia. 

E la motivazione più plausibile all’origine di questa strategia terroristica messa in atto in quei mesi dal clan dei corleonesi sarebbe la risposta alla introduzione ne Decreto antimafia Martelli-Scotti, divenuto legge dopo le stragi del 1992, del 41bis che regola il carcere duro e l’isolamento previsto per i detenuti appartenenti ad organizzazioni criminali di stampo mafioso. Dunque, in questo senso, la strage di via dei Georgofili  potrebbe essere considerata come una vera e propria sfida, una sfida rivolta alle istituzioni, alla società, a chiunque avesse cercato di fermare lo strapotere mafioso. In realtà, però, dalle prima indagini svolte dalla magistratura di Firenze subito dopo l’attentato, è emerso che “qualcuno” o “qualcosa” estraneo agli ambienti criminali avrebbe avuto un ruolo molto importante se non nell’attuazione, almeno nell’ideazione e nella continuazione del progetto stragista.

All’indomani di quel 27 maggio, infatti, numerosi collaboratori di giustizia e pentiti di mafia decisero di parlare e lo fecero, probabilmente, perché colpiti dall’impatto elevato che la strage dei Georgofili ebbe nella capoluogo toscano e in tutta Italia (a cui poi seguì l’ultima strage, quella di Milano (con altre 5 vittime). Tra tutti, non si può non citare il ben noto Gaspare Spatuzza, che il 2 febbraio nel 2011 ha chiesto “perdono” alle vittime di quell’attentato, esprimendo un “malessere” proprio per un gesto così eclatante. Ma sono tanti gli uomini che hanno permesso la ricostruzione della strage: Emanuele Di Natale, all’epoca trafficante di droga, Pietro Carra, Vincenzo e Giuseppe Ferro e il pentito Salvatore Cancemi.

Proprio quest’ultimo, durante un interrogatorio, nel 1994, per la prima volta ha messo in discussione la sola presenza della mafia in tale attentato, affermando che “Cosa nostra non ha la mente fina di mettere un’autobomba come quella di Firenze” e dicendosi convinto che “questo come gli altri fu un obiettivo suggerito”. Persino il magistrato Vigna, in quello stesso anno, affermò che dietro le stragi vi erano dei “mandanti a volto coperto” e che “Cosa nostra è divenuta compartecipe di un progetto disegnato e gestito insieme ad un potere criminale diverso e più articolato”, un potere che, come più volte ribadì il magistrato toscano, doveva appartenere ad una “organizzazione” che conoscesse le dinamiche del terrorismo, che conoscesse i meccanismi della comunicazione di massa e “capace di sondare gli ambienti politici e di interpretarne i segnali”.

Dunque il 41bis potrebbe trattarsi di una vera e propria maschera, volta a nascondere una verità ben più grande. Questo, purtroppo, non ci è ancora dato saperlo. E non ci è dato sapere nemmeno per quanto tempo, ancora, continuerà questo sistema di omissioni e bugie, questa infinita strategia volta all’omissione e alla negazione della verità. Oggi, a distanza di 20 anni, Firenze si ritrova unita, gioiosa e allegra, in un girotondo di sorrisi e speranze, perché è proprio la speranza è una delle armi più grandi nella battaglia all’indifferenza e all’ingiustizia. Intanto, a Palermo l’associazione delle vittime di via dei Georgofili, costituitasi parte civile, attende l’esito del processo sulla trattativa Stato-mafia che è appena iniziato in corte d’Assise. La speranza da sola non basta, ha bisogno anche di lotta e determinazione.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org