Giulio Cavalli è un uomo che crede fermamente nel suo lavoro, culturale e adesso anche politico. Due aspetti che si incrociano, che si mischiano virtuosamente nelle azioni, nelle proposte, nell’impegno volto ad un cambiamento vero, ad una svolta di legalità in un territorio in cui, come denuncia da lungo tempo nei suoi spettacoli, politica e crimine organizzato si spartiscono gli affari e il potere, facendo leva sul silenzio, sull’omertà, sull’ottuso rifiuto di una parte del popolo lombardo dell’idea che mafia, ‘ndrangheta e camorra non siano una questione meridionale, “roba da terroni” per dirla interpretando lo snobismo pericoloso che domina intere fette della società settentrionale.

L’oppressione criminale, le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e politico anche del Nord Italia sono una questione nazionale che la politica per prima dovrebbe affrontare, cominciando a dare il buon esempio. Giulio, che attualmente è consigliere regionale in Lombardia, ha scelto di trasportare la sua vocazione per la verità e la giustizia, che caratterizzano il suo teatro, dentro le istituzioni, ossia laddove si assumono le decisioni che ne decretano il trionfo o la sconfitta. Un impegno appassionato che non gli impedisce di continuare la sua attività teatrale.

Non si ferma, continua a lottare, a fare il suo lavoro, rifiutando etichette e paragoni, consapevole che ciò non serva perché produce isolamento. Due settimane fa, Giulio ci ha gentilmente concesso la pubblicazione di una sua riflessione (“Io mi difendo, ma chi difende i miei figli?”), legata ad un fatto accaduto durante l’incontro con i ragazzi di una scuola di Lodi. Durante quell’incontro, uno studente ha pronunciato una frase che ha scosso il giovane autore e regista teatrale: “Cavalli se ne deve andare da Lodi. Ci ha messo tutti in pericolo”. Adesso concede al nostro settimanale una breve intervista, rispondendo alle nostre domande in uno dei rari momenti di tregua dai suoi mille impegni.

Quale sentimento prevale in te nel sentire quelle frasi pronunciate da un giovane in una scuola della tua città?
Paura. Paura di non uscire da un tunnel che mi hanno cucito addosso. Ma per fortuna conosco anche persone che scaldano la speranza di un Paese migliore.

Il nord, a tuo avviso, ha preso coscienza della presenza capillare e massiccia delle mafie nel suo tessuto economico e sociale o continua a negare e far finta di niente?
C’è in atto una spaccatura sociale: da una parte c’è chi conosce, studia e ha dubbi e, dall’altra parte, chi miseramente e ostinatamente continua a negare. È un passo in avanti, sicuramente. L’importante è chiarire che in mezzo non ci si può più stare.

La gestione degli appalti, a Milano come in Lombardia, è sufficientemente garantita da meccanismi e norme adeguate a scoraggiare le infiltrazioni criminali? È pensabile attuare anche qui il “modello Gela” di Rosario Crocetta?
Certo che sì, ma manca la volontà. È inutile negarlo: le convergenze tra ‘ndrangheta e politica foraggiano alcuni dei nostri rappresentanti. Credo che la sfida vera sia raccontarlo e far vincere la legalità nell’imprenditoria e nella politica.

Molti ti considerano l’erede di Peppino Impastato. Come vivi questo paragone?
Amo, ho studiato e continuo a studiare il lavoro (che, non dimentichiamolo, è soprattutto politico) di Peppino, ma non credo nell’utilità dei paragoni. Preferisco essere Giulio Cavalli e possibilmente ordinario. Leale, appuntito, ma ordinario. Il nostro lavoro e il raggiungimento dei nostri obbiettivi ha bisogno del lavoro ordinario di tutti, non dell’esibizione straordinaria di pochi.

Qual è il tuo rapporto con la paura?
Molto privato e molto combattuto. La vera paura è il ritrovarsi solo.

Sei un uomo di teatro e di cultura, ma sei anche un uomo attivamente impegnato in politica: come giudichi l’attuale situazione italiana?
Prendo in prestito una frase di Rosellina Archinto: non sempre la politica si rende conto del valore, anche sociale, della cultura. E così vengono a mancare i buoni esempi.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org