Libertà d’informazione, un concetto che sembra logico, quasi banale. L’informazione, per essere davvero tale, dovrebbe necessariamente essere libera e scevra da ogni condizionamento politico o economico, eppure le cronache odierne dimostrano sempre più sovente il contrario. Lo Stato che più di tutti negli ultimi anni è stato additato per la quasi totale assenza di libertà di informazione è il nostro piccolo stivale, un po’ a causa dei famosissimi “editti bulgari”, con cui Berlusconi cacciò dalla tv pubblica, senza tenere in alcun conto il parere del pubblico, personaggi per lui scomodi, un po’ per il conflitto d’interessi, che è forse l’elemento maggiormente caratterizzante il nostro attuale premier, e un po’ a causa dell’esiguo numero di giornalisti italiani con la dignità di non piegarsi davanti a “richieste”, più o meno pressanti, e di fare bene il proprio lavoro.

Eppure, sembrerebbe che non solo l’informazione italiana abbia qualche scheletro nell’armadio con cui convivere. Uno scandalo tutto nuovo, “Wikileaks”, investe il settore dell’informazione internazionale e sta assumendo sempre più i contorni di un vero e proprio complotto e, come sovente accade per i complotti, viene per lo più taciuto o trattato in maniera poco approfondita. Wikileaks è un sito, gestito da un’organizzazione internazionale con sede in Svezia, che si occupa di divulgare documenti secretati concernenti argomenti “scottanti”. Recentemente il suo fondatore, Julian Assange, fisico, matematico, giornalista e “hacker etico”, aveva annunciato la prossima divulgazione di un dossier di documenti militari riservati sul conflitto in Afghanistan.

Un annuncio che, in un mondo fondato su segreti e bugie, ha scatenato il panico di moltissimi potenti. Ma ogni emergenza ha sempre una soluzione, specialmente se a cercarla sono i potenti della Terra: così, “stranamente” Assange viene arrestato in seguito ad un mandato di cattura internazionale. La cosa curiosa è che l’Interpol ha emesso il “red notice” (equivalente al mandato di arresto internazionale) in base al reato di «sex by surprise», un peculiarissimo reato tutt’altro che internazionale, essendo previsto solo dal codice penale svedese, in base al quale anche il mancato utilizzo del preservativo, in caso di richiesta del partner, è punibile penalmente.

Abitualmente, la pena collegata al reato in questione sarebbe la sanzione pecuniaria di 715 dollari, ma non nel caso di Assange, a cui il rilascio su cauzione è stato concesso solo lo scorso 14 dicembre (dopo il primo inspiegabile rifiuto del 7 dicembre) ed il quale continua a chiedere di non essere estradato in Svezia per paura di finire in mano agli americani. Lo speciale trattamento riservato al giornalista australiano ha portato il suo legale, Mark Stephen, a dichiarare: “Mi sembra di essere in un film del surrealismo svedese, circondato e minacciato da bizzarri troll”.

Surreale è in effetti l’attributo più appropriato per descrivere l’intera vicenda. Surreale è che si sia assistito ad una caccia all’uomo su scala internazionale per un reato considerato tale solo in una nazione. Surreali sono le innumerevoli reazioni che si sono susseguite da quando è scoppiato il caso. Surreale, infine, è il mutismo reiterato degli organi di informazione. Da quando il sito Wikileaks, con le sue rivelazioni, ha cominciato ad essere considerato un nemico dai “soliti potenti” si sono susseguiti diversi episodi che la dicono davvero lunga su quanto siamo effettivamente liberi e sul nostro diritto di sapere.

Dapprima il sito è stato “sfrattato” da Amazon, che ha motivato la rescissione del contratto sostenendo una violazione dello stesso da parte dei responsabili di Wikileaks, “rei” di aver adottato un uso irresponsabile degli strumenti forniti. Spostatosi su EveryDNS.net, un altro provider che fornisce domini internet, il sito è stato oggetto di quello che in gergo è detto “attacco DDoS” (in sostanza migliaia di computer provano a connettersi contemporaneamente allo stesso sito in modo da bloccarlo), in seguito al quale anche il nuovo provider ha deciso di sospendere l’erogazione del servizio a Wikileaks.

L’attacco a Wikileaks è stato anche economico: una banca svizzera e paypal hanno chiuso i conti su cui avvenivano le donazioni dei sostenitori di Assange: la prima per un non meglio precisato problema nel contratto, il secondo adducendo la violazione delle sue policy secondo le quali “i nostri servizi di pagamento non possono essere utilizzati per attività che incoraggiano, promuovono, facilitano o istituiscono altri a impegnarsi in attività illegali” (resta poi da chiedersi se la divulgazione della verità possa seriamente essere considerata attività illegale).

Ma i nemici di Assange, per quanto organizzati e potenti, sembrano aver trovato “pane per i loro denti”. Si è attivato il fronte pro Assange che porta avanti la propria lotta tramite attacchi hacker. Nel mirino di “Anonymous” sono già finiti il sito PayPal e quello del gruppo della banca svizzera. Analogamente sono stati attaccati anche i circuiti di pagamento online di Visa e Mastercard, anch’essi colpevoli di aver abbandonato il sito di Julian Assange.

Oltre all’attacco, i partigiani di Wikileaks hanno predisposto anche un “piano di difesa”: si assiste ad una vera e propria proliferazione di “mirror site” (il mirror site è banalmente la copia del sito originale, in una sola settimana quelli di wikileaks sono passati da una cinquantina scarsa agli oltre 1334), in modo da poter fronteggiare eventuali nuovi attacchi al sito madre. Insomma, nel più totale silenzio e nella più totale indifferenza di giornali e televisioni, è in atto una vera e propria guerra nel cyberspazio, con armi ben più sofisticate di missili e bombe. A spaventare non sono soldati che impugnano mitragliatori, ma sono, per lo più, programmatori ed informatici armati esclusivamente di un computer e della verità. Quella si che può davvero far male.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org