“Tingere”, “ mettere in ferie”, “ officina”: sono questi alcuni dei nuovi termini adottati dalla mafia che si evolve, cambia vocabolario e linguaggio, pur non rinunciando alle azioni intimidatorie per cui si è sempre contraddistinta. Dall′inchiesta denominata “The end” ed eseguita dai carabinieri di Monreale è emerso, infatti, che “cosa nostra” adotterebbe un linguaggio sempre più moderno e inusuale, proprio per rendersi meno visibile all′esterno e difficilmente decifrabile. Tutto ciò, secondo gli inquirenti, è stato reso possibile grazie ad una intercettazione che riguarderebbe un colloquio tra lo storico boss di Partinico, Vito Vitale, detenuto in regime di 41bis, ed il figlio maggiore Leonardo, in cui il padre avrebbe consigliato al figlio le linee guida da prendere in considerazione per il mantenimento del potere della cosca e durante il quale, appunto, i due avrebbero utilizzato alcuni termini incomprensibili dagli inquirenti, come, ad esempio,  “campagna” (con la quale si intendeva la famiglia mafiosa) e  “animali”, ovvero gli affiliati alla cosca. Ma sono diversi i punti importanti che emergono dall′inchiesta e sui quali bisognerebbe maggiormente riflettere.

Innanzitutto, per l′ennesima volta, è stata dimostrata l′insufficiente sicurezza e l′inapplicata rigidità predisposta e prevista dal carcere duro. Lo stesso gip di Palermo, Luigi Petrucci, nelle carte della misura cautelare emessa il 30 novembre, ha affermato che le “decisioni più rilevanti in merito alla gestione del mandamento mafioso di Partinico erano comunicate e condivise, ancora una volta, nonostante la sottoposizione allo speciale regime detentivo di cui all′articolo 41 bis”. Purtroppo, il caso di Partinico rappresenta solo una delle tante sgradite sorprese che ci giungono dal carcere duro: non è la prima volta, infatti, che due mafiosi riescono a parlare e addirittura a gestire una cosca nonostante la detenzione di uno degli elementi più importanti (in questo caso il boss). Il caso dei “pizzini” di Provenzano ne è l′esempio più lampante, con alcuni pezzettini di carta che venivano scambiati con estrema facilità tra i mafiosi, anche all′interno delle carceri. Questo destò grande scalpore in tutta Italia.

Un altro punto da non sottovalutare è l′evoluzione repentina che si è avuta all′interno delle cosche e, più in generale, all′interno di “cosa nostra”. Non è solo il linguaggio, infatti, l′elemento di novità emerso dalle carte dell′indagine. Una delle cosche più sanguinarie della Sicilia, cioè quella guidata dagli stessi Vitale di Partinico, si sarebbe riorganizzata traendo linfa vitale dai figli dei mafiosi più vecchi e che attualmente sono detenuti. A capo della cosca, infatti, si sarebbero alternati i due figli del boss storico, tra cui lo stesso Leonardo e Giovanni, di anni 24 e 28. Giovani rampolli alla guida di una famiglia importante: è questa, in sostanza, la caratteristica rivoluzionaria che risalta maggiormente e che ha permesso agli inquirenti di aggiungere un tassello in più e di elevata importanza nella difficile lotta alla mafia. Una lotta che, appunto, deve obbligatoriamente basarsi sulla conoscenza della struttura mafiosa, delle sue regole ed anche dei cambiamenti sempre più repentini.

Il terzo punto che emerge dall′inchiesta costituisce un modus operandi tra i più consueti  della criminalità organizzata e, ad esso, si collega una prassi ormai tristemente consolidata nella società odierna. Tra gli arrestati (23 in tutto), emerge il nome di un architetto incensurato, Antonino Lu Vito, il quale avrebbe agito da mediatore tra le cosche del mandamento di Partinico e quelle delle città vicine. I Vitale, inoltre,  si sarebbero assicurati un′egemonia totale in tutta la zona, costringendo gli imprenditori a rifornirsi di materiali presso una ditta di fiducia, la Edil Village, costretta a sua volta a raddoppiare i prezzi per sostenere le spese dovute al pagamento delle tangenti imposte dalla cosca. Un giro di affari immenso e consistente, quindi, andava a riempire le tasche degli esponenti del clan, il cui lavoro è stato reso più semplice dall′omertà dilagante in tutto l′hinterland. Lo stesso comandante dei carabinieri di Palermo, Leo Tuzi, ha confermato di non aver “ricevuto alcuna denuncia e la mancata collaborazione della società civile non aiuta di certo le indagini”.

“Inoltre – continua Luzi – nel corso di questa operazione abbiamo avuto a che fare con tre generazioni di mafiosi”, riferendosi ad elementi giovanissimi, come lo stesso Leonardo Vitale, eppure molto attivi e ben integrati nella società mafiosa. Un monito, dunque, va alla comunità di Partinico (ma non solo ad essa) perché consenziente rispetto all′agire incontrastato della criminalità organizzata. Ed un monito, forse ancor più severo, va allo Stato nella sua espressione più piccola. Ci si domanda infatti cosa ci stiano a fare le autorità competenti (il sindaco, l′intera giunta comunale). Possibile che nessuno si sia accorto di nulla? È ancora così “oscura” e misteriosa la presenza della criminalità organizzata? O forse la figura di una mafia difficile da sconfiggere accontenta un po′ tutti ? Certo è che di strada ce n′è ancora troppa da percorrere ed è tutta in salita. Una salita ripidissima. Ma non bisogna arrendersi mai, né tantomento lo si può fare adesso, in un momento così difficile in cui la lotta alla criminalità organizzata ha sempre più bisogno di una società consapevole e onesta.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org