C’è una rotta della sofferenza che attraversa il Mediterraneo. Alla fine del viaggio qualcuno riesce a scendere da un barcone per incamminarsi spesso verso l’inferno dello sfruttamento razziale, consegnandosi nelle mani vigliacche di chi ha trasformato le campagne d’Italia nelle baraccopoli dei dannati. La “Carovana dei migranti per una Calabria aperta e solidale” ha attraversato questa rotta e ha terminato il suo viaggio a Steccato di Cutro: nella notte del 26 febbraio, alle 4 del mattino, con una veglia sulla spiaggia, il ricordo e la memoria si sono fuse con quella richiesta di giustizia che lo Stato e le sue istituzioni, ancora una volta, si sono rifiutati di ascoltare. La stessa notte di due anni fa il mare restituiva 94 corpi alla spiaggia di Steccato di Cutro, i corpi che questo Paese e l’Unione europea avevano deciso di lasciare in mare. Nel pomeriggio i ‘Lenzuoli della Memoria Migrante’ hanno sventolato in piazza della Resistenza, per ricordare tutte le vittime delle frontiere con i loro nomi ricamati: uno straordinario atto di denuncia contro le politiche di respingimento.

Di fronte al silenzio e all’assenza dello Stato sono i movimenti a ricordare e a denunciare. “L’abbiamo detto, scritto, ripetuto fin dal primo momento: Cutro è stata una strage di Stato. Adesso le vostre inchieste giornalistiche e gli atti giudiziari ci danno conferma. Quelle persone potevano essere salvate. Due anni fa ci fu una volontà, come in tanti altri casi (Ceuta, Melilla, Pylos in Grecia) di lasciare morire le persone in mare, sperando che nessuno se ne accorgesse. Quest’anno saremo di nuovo a Cutro. Ma non per commemorare quanto piuttosto per gridare ancora una volta la richiesta di una giustizia giusta”. Sono le parole, lucide e ferme, pronunciate qualche giorno prima dell’anniversario da Gianfranco Crua, animatore di Carovane Migranti.

Si chiamava “Summer Love” il battello che le onde del mare hanno spezzato a pochi metri dalla riva di Steccato di Cutro. Ma il mare non ha colpe, quella tragedia fu l’’inevitabile risultato di politiche feroci che da anni criminalizzano i migranti e le ONG che salvano vite in mare, politiche che quella notte videro una somma spaventosa di decisioni e non-decisioni, che ritardarono ogni intervento e condannarono a morte 94 persone, fra cui decine di bambini, che potevano e dovevano essere tratte in salvo. Ecco perché fu una strage di Stato, una in più. Il 27 febbraio, quando sulla spiaggia di Cutro ancora si raccoglievano i corpi, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, nel corso di una oscena conferenza stampa sceglieva di non rispondere alle domande sulle mancanze, sugli errori e sulle colpe dell’intera catena di gestione dei soccorsi e decideva di colpevolizzare i migranti stessi per la loro morte: “L’unica cosa che va affermata è che non devono partire. Quando ci sono queste condizioni non devono partire…”.

Una settimana dopo quella strage ci fu il surreale Consiglio dei ministri del 7 marzo 2023, tenuto presso l’aula consiliare del Comune di Cutro, dove il governo continuava nella sua difesa alla catena di comando dei soccorsi, ribadendo che non si poteva “fare di più”, e varava in tutta fretta il decreto-legge che introduceva disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare. Era il famigerato “Decreto Cutro” con cui si limitava fortemente la protezione speciale, con l’effetto di ledere i diritti dei richiedenti asilo e l’ovvia conseguenza di un aumento dei migranti cosiddetti ‘irregolari’ sul territorio. Quel Consiglio dei ministri diventava poi il teatrino di un’altra conferenza stampa dove il governo annunciava la sua “guerra agli scafisti lungo tutto il globo terracqueo”, grazie ad “accordi bilaterali con i paesi in cui la tratta viene organizzata”.

Sarà la Procura di Crotone a smentire il governo, il ministro e l’intera catena di comando: dopo due anni la chiusura delle indagini ha portato al rinvio a giudizio di quattro militari della Guardia di Finanza e due della Capitaneria di Porto, accusati di non aver fatto nulla per impedire il naufragio del “Summer Love”. L’inchiesta ha tolto il velo sulle “inerzie” e sulle “omissioni” delle sale di comando in quella notte fra il 25 e il 26 febbraio 2023: nonostante il meteo e il mare sempre più minaccioso, nonostante le segnalazioni arrivate già molte ore prima, da quelle sale di comando non venne lanciata nessuna operazione di soccorso ma si decise di iniziare solo un’operazione di polizia. “So’ migranti, poi vediamo”: scrivevano così nelle loro chat, mentre il “Summer Love” si preparava allo schianto. Quelle frasi sulle chat restano, e resteranno comunque vada a finire il processo che inizierà il 6 marzo a Crotone. L’accusa è di naufragio e omicidio colposo plurimo. È giusto ricordare che gli esposti, da cui è scaturita l’indagine che porta al processo, furono depositati alla Procura di Crotone il 9 marzo 2023 dalle associazioni antirazziste Arci e Asgi.

La strage di Cutro non ha modificato nulla del feroce impianto su cui il governo italiano ha costruito le sue politiche sui migranti e sull’accoglienza: nulla che possa garantire la creazione di corridoi umanitari sicuri e legali che possano permettere ai migranti di non cadere nelle mani dei trafficanti o di seguire rotte mortali; nessun ripensamento sul regime dei visti e dei ricongiungimenti familiari. Le scelte politiche, in questi due anni da Cutro, sono andate solo in senso radicalmente opposto: dall’inasprimento delle leggi all’introduzione di nuovi reati, dalla prassi sempre più consolidata dell’assegnazione di porti sempre più distanti alle navi delle ONG che raccolgono vite in mare al continuo disprezzo del “diritto” nei CPR esistenti, dagli accordi con l’Albania al tentativo di legalizzazione della deportazione dei migranti. Emblematica, in questo senso, la farsa dell’elenco dei “Paesi sicuri” redatto a piacimento dal governo Meloni. Tutto questo si appoggia sulle fondamenta del razzismo e delle menzogne, vere armi di governo del Paese, e che hanno radici lontane e mai tagliate anche dagli esecutivi precedenti.

Nel Mediterraneo il governo italiano e l’Europa hanno rimosso i testimoni, e la guerra alle ONG produce numeri spaventosi: negli ultimi due anni sono oltre 5.400 le vite inghiottite dal Mediterraneo, 31mila dal 2014. Ad ogni strage in mare il Paese si indigna e i governi mentono sapendo di mentire. C’è però anche chi non si arrende e, magari in silenzio ma tenacemente, costruisce ponti e tesse quella tela di umanità senza la quale nulla avrebbe un senso: ecco allora che la capacità di mobilitazione e la campagna in favore dell’attivista curda Maysoon Majidi, assolta, dopo mesi interi passati in carcere, dall’infamante accusa di essere una trafficante di esseri umani e una scafista, dimostra che occorre credere che le cose debbano e possano cambiare. Un Paese civile dovrebbe guardare con orgoglio ai modelli che hanno segnato e insegnato una strada e raccontano come un progetto di accoglienza possa generare valore per un territorio: da Riace alla comunità di Acquaformosa, borgo di minoranza linguistica arbëreshë in provincia di Cosenza. Un Paese civile dovrebbe costringere i suoi governi a stracciare gli accordi con la Libia e l’Algeria.

26 febbraio 2025, due anni dopo, la memoria e il ricordo di quella strage di Stato vivono nelle famiglie, nelle associazioni e negli attivisti della Rete 26 febbraio. Vivono nella mente e nel cuore dei pescatori di Cutro che per giorni hanno sfidato il mare per riportare a riva ogni frammento di umanità. Su questa spiaggia non c’è il governo, non c’è lo Stato. È un’assenza che è una scelta politica, come fu una scelta politica quella di due anni fa quando l’esecutivo sfilava lontano dalle bare, senza un omaggio ai morti e un abbraccio ai familiari. Una scelta politica, come quella di ignorare il mandato di arresto, emesso dalla Corte dell’Aia per crimini di guerra e contro l’umanità, nei confronti di Nijeem Osama Almasri, il generale torturatore al vertice della Polizia giudiziaria libica, liberato e rimpatriato con un volo di Stato. Sono passati due anni, due anni di menzogne, di negazione del diritto e di accordi infami, e la caccia degli sceriffi di Roma si è fermata ai confini del “globo terraqueo”. Anche questa è una scelta politica.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org