Siamo nel 1996, precisamente il 16 ottobre. Ci troviamo a Niscemi, in provincia di Caltanissetta, un territorio che, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta del secolo scorso, è stato soggetto ad una escalation di fatti che hanno causato, nel 1992 (e poi lo sarà ancora nel 2004), il commissariamento della Giunta comunale per condizionamento mafioso. Siamo all’interno di un grande negozio che vende gioielli, pellicce, abiti da sposa e pelletteria, in fondo al paese, a poche decine di metri dal Commissariato di Polizia. Quel negozio è gestito da Salvatore Frazzetto, 46 anni, dalla moglie Agata Azzolina e dal loro figlio Giacomo, chiamato Mimmo, di 23 anni. L’altra figlia, Chiara, ha deciso di continuare gli studi all’Università di Catania e non si trova in negozio. Gestire un’impresa, in terra di mafia, soprattutto quando quell’impresa va bene e produce, può essere un miraggio, un’utopia, e Salvatore e Agata lo sanno bene: minacce, intimidazioni, richiesta di merce senza pagarla. Perché si sa, in terra di mafia, i mafiosi possono tutto, anche non pagare. Non per nulla si fanno chiamare mammasantissima.
Nonostante tutto Salvatore e Agata resistono, non si piegano, non vogliono accettare l’inaccettabile. Quel giorno, due giovani, noti ai titolari, entrano spavaldamente in negozio e chiedono di vedere due fedi nuziali. Malgrado il turbamento legato alla presenza di questi due delinquenti, Salvatore procede nel far vedere le fedi richieste. Quando si accorge che i due non avrebbero pagato, reagisce e impugna la pistola che custodiva nel negozio. L’arma però viene strappata dalle mani di Salvatore che, oltre ad essere pestato a sangue, viene ucciso a colpi di arma da fuoco. Accorso il figlio Giacomo, uccidono senza alcuna pietà anche lui e fuggono via. Agata corre fuori dal negozio e cerca disperatamente aiuto. Grazie alla sua testimonianza i due mafiosi, Salvatore e Maurizio Infuso, vengono rintracciati e arrestati ore dopo presso un casolare di campagna.
Rimasta sola con la figlia Chiara, Agata cerca di portare avanti l’attività di famiglia, prova a dedicarsi, anima e corpo, a quell’unica figlia che le è rimasta, nonostante continuino le intimidazioni e le minacce, nonostante sia protetta dalla scorta, messa a disposizione dallo Stato. Agata ci prova con tutta se stessa, ma non regge. Nella notte tra il 22 e il 23 marzo 1997 si impicca a una corda fissata su una trave del soffitto della cucina. Aveva 43 anni. Chiara rimane sola. A soli 21 anni vede la sua famiglia sterminata. Nulla potrà essere come prima. Chiara legge le ultime parole scritte dalla madre in cui la esorta ad allontanarsi dalla Sicilia. Lacerata dalla perdita e braccata dalla mafia, non sa cosa fare della sua vita. Vuoto e paura riempiono le ore e i momenti. Poi arriva una decisione: rimarrà in Sicilia per combattere cosa nostra e le sue logiche di morte. Durante il processo si costituisce parte civile e rinuncia alla scorta assegnatale, denuncia, combatte, ricerca la verità.
Ancora oggi Chiara continua a lottare portando la sua testimonianza nelle scuole e nelle carceri minorili. La sua testimonianza riporta ogni volta in vita le persone che amava, la sua famiglia, diventa memoria viva. Proprio per questo ha ricevuto, nel 2021, il Premio “Donna Coraggio”. Il nome di Salvatore, insieme a quello di suo figlio Giacomo e di sua moglie Agata, è stato inserito nell’elenco delle vittime innocenti curato dall’associazione Libera, che lo legge nel corso della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti di mafia.
Qualche anno fa, Chiara ha voluto ricordare i suoi familiari con queste parole: “Ciao Mimmo, ciao papà e mamma. Sono 20 anni che non sento la vostra voce, solo perché qualcuno ha deciso di mettere fine alla vostra vita per una manciata di soldi. Non sento la vostra voce, ma la vostra immagine è scolpita nei miei occhi e nel mio cuore. È difficile la mattina alzarsi e darvi il buongiorno e non udire la vostra risposta, ma penso che voi siete solo nella stanza accanto e non potete sentire. La morte non è nulla: è questo che mi ripeto ogni giorno per andare avanti, voi vivete in me e io sono viva per voi […] Voi siete distanti, ma sempre presenti nella mia vita. Sento il vostro odore e il vostro abbraccio, dove trova rifugio la mia martoriata anima. Ma la forza la prendo da voi, siete voi che asciugate le mie lacrime e il vostro ricordo mi dà pace”. La testimonianza e l’esempio di Chiara Frazzetto, in questi tempi bui, devono continuare a diffondersi ancora di più perché, come scriveva Albert Schweitzer, “l’esempio non è la cosa che influisce di più sugli altri: è l’unica cosa”.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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