Li ricordate i giovani che scendevano in piazza e facevano sentire la loro voce tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del secolo scorso? Li ricordate i morti, gli scontri politici, le violenze tra fazioni politiche opposte e quelle compiute dalle forze di polizia al servizio di governi conservatori e ministri autoritari? Bene, i giovani contestatori della sinistra movimentista cambiarono la mentalità del Paese, gettarono semi importanti per spazzare via le convenzioni che incrostavano una società ancora profondamente arroccata su antichi costumi e mentalità ritenute normali, ma che in realtà erano agghiaccianti e ingiuste. Quel grande universo giovanile fu splendido e illuminato e, al contempo, profondamente odiato e massacrato. Erano altri tempi, è vero, e non è mai consigliabile equiparare contesti storicamente molto diversi da tanti punti di vista. Ma se guardiamo dentro l’anima dei giovani di ogni epoca, ci sono sempre dei tratti comuni. Se poi li guardiamo a fondo, con occhi puri, ci rendiamo conto che a volte la narrazione del passato eccede un po’ sul piano romantico rispetto a quella del presente.

La generazione che esplose nel 1968 non era tutta brillante, sebbene fosse composta da tante ragazze e tanti ragazzi di altissimo valore, giovani intellettuali, assetati di cultura, capaci di conquistare spazi e di crescere, di mettersi in gioco e di metterci il corpo, il tempo, i rischi. Si trovavano dentro un campo minato, nel quale i modelli sociali erano vecchi e nocivi, il sapere e l’informazione dovevano fare i conti con l’asfissiante censura del potere dominante, totalmente asservito alle gerarchie ecclesiastiche. In più, bisognava fare i conti con il fascismo e la violenza eversiva di quel virus infettivo che la Repubblica non è mai riuscita veramente a debellare. Quella generazione era meravigliosa, ma non erano tutti rivoluzionari illuminati. La contestazione, come avviene per ogni forma di rivoluzione, culturale e politica, era guidata dalle avanguardie, alle quali molti altri andavano dietro per stima, per bisogno di crescere e apprendere, per condivisione di ideali ma anche solo per voglia di essere parte di qualcosa, anche quando quel qualcosa non lo si capiva davvero.

Quelli che poi hanno tradito, infatti, saltando il fosso e diventando negli anni reazionari o lacchè del potente di turno, addirittura spostandosi sulla sponda opposta, in realtà erano solo bugiardi o semplicemente appartenevano a un determinato mondo non per convinzione o comprensione delle cose, ma per moda, per “trascinamento giovanile” o per chissà quali altre ragioni private. Insomma, non tutti quelli che avevano 18 o 20 anni nel 1968 o negli anni Settanta erano rivoluzionari che hanno costruito il cambiamento. Pertanto, rivendicare la propria appartenenza generazionale per ergersi su un piedistallo e bollare negativamente le generazioni successive come generalmente superficiali o perdute è un abuso, storicamente, sociologicamente e politicamente.

Le giovani generazioni hanno sempre avuto e hanno ancora avanguardie meravigliose e un resto che si divide tra seguaci convinti, gregari, massa e anche partecipanti per moda o curiosità. In questi ultimi anni, i giovani vengono costantemente dileggiati, denigrati da chi ha più potere di loro e, a cascata, da chi di quel potere è servo o sostenitore. Esiste una sfilza copiosa di dichiarazioni, titoli e osservazioni offensive sui vari movimenti giovanili, sulle loro icone, sulle loro istanze. Per di più, tante volte, in occasioni di efferati casi di violenza, i giovani sono stati tutti equiparati al carnefice o ai gruppi di carnefici. E molto spesso, ci si è dimenticati che giovane era anche la vittima, alla quale, peraltro, si è sempre e comunque attribuita una colpa. Perché il mondo degli “adulti”, ancor più quelli che occupano posizioni di potere, è fatto così, è abituato a distribuire sempre le colpe agli altri, a trovarle altrove. Non ha specchi, non ha istinti di riflessione o autocritica, ma solo di autoconservazione. Ecco perché oggi quel mondo, coincidente con il potere, reagisce con aggressività e violenza, quando il dileggio o la delegittimazione non bastano, quando le istanze giovanili diventano protesta, finalizzata a ribadire che le scelte sulla propria vita e sulla propria libertà, sui diritti e sugli ambiti che li riguardano da vicino, non possono essere imposte dall’alto.

È quello il momento in cui si passa il limite e arriva il pugno duro, arrivano i manganelli, le teste spaccate, le cariche, le identificazioni. Gli ingredienti orridi che hanno già silenziato, nel sangue di Genova, nel 2001, una generazione che aveva provato a sognare un mondo diverso. Uno squilibrio di forze immenso, che ancora oggi umilia la democrazia e i principi virtuosi della Costituzione italiana. E se, per provare a sanare questo squilibrio di forze, c’è chi ad esempio usa la protesta pacifica e non violenta per interrompere il monologo di una ex femminista e attivista (Eugenia Roccella, incredibile ma vero) che oggi vuole negare la libertà e i diritti delle donne, allora chi sta seduto in alto reagisce acidamente, parlando di censura, invocando la democrazia. Ma a quale democrazia fa riferimento la destra di governo?

Quella che viene ogni giorno demolita con leggi e proposte di legge che puntano alla concentrazione del potere e all’esautorazione del parlamento? Quella di chi sta già negando diritti che sono stati acquisiti negli anni del miglior progresso culturale e politico del Paese? Quella di chi continua a vomitare omofobia e razzismo e a promuovere personaggi che ancora oggi, nel 2024, si preoccupano delle origini di italiani che hanno un colore della pelle o un cognome straniero? Quella di chi non vede che il mondo, per fortuna, è cambiato e sta già andando avanti, nonostante i freni di chi vorrebbe riportarlo indietro? La classe politica attuale, specialmente quella che si muove tra le linee ideologiche più vicine all’area conservatrice (e purtroppo non solo di estrema destra), è fuori dal mondo, lontana dalla realtà, quella che i giovani vivono quotidianamente e conoscono da vicino.

Una realtà multiculturale, nella quale esistono italiani con cognomi e colori della pelle diversi, ma che sono semplicemente cittadini, compagni di scuola, amici. Una realtà che ha linguaggi nuovi, codici culturali diversi, sensibilità più ampie di quelle del passato, modi nuovi di relazionarsi, visioni differenti relativamente al rapporto tra generi, razze, etnie. Il mondo che i giovani sognano è molto diverso da quello orribile che vogliamo lasciargli in eredità e per questo hanno tutto il diritto di incazzarsi, di protestare, di far sentire la propria voce con i mezzi che ritengono possibili per poter sovvertire lo squilibrio di potere. Un potere che, in un grottesco rovesciamento delle prospettive, accusa di censura e fascismo coloro che lo sfidano proprio perché lo ritengono, a ragione, fascista, reazionario e illiberale.

Perché alla fine, i sovversivi non sono gli studenti che parlano di pace e rifiuto delle guerre, dell’indecente business delle armi e delle nuove forme di genocidio, di libertà di scelta, del diritto di decidere del proprio corpo, o che hanno a cuore il futuro di tutta l’umanità e non solo di una parte, che si oppongono al razzismo e all’omofobia, che lottano per la tutela dell’ambiente e per un pianeta più green. I sovversivi sono altri, sono quelli che occupano le leve di comando e lavorano ogni giorno per ribaltare la Storia e riportarci nel baratro. In questa lotta impari, allora, va fatta una scelta di campo netta, ed è quella di stare dalla parte delle ragazze e dei ragazzi che alzano la testa e mantengono la schiena dritta, malgrado siano privi di riferimenti politici affidabili e nonostante siano molto più soli di quelle meravigliose avanguardie degli anni Sessanta del secolo scorso.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org