Il caso Weinstein ha sconvolto Hollywood e ha fatto il giro del mondo, svelando all’opinione pubblica la sporcizia di chi detiene una qualunque forma di potere e la usa per i fini più squallidi. Niente di nuovo, ma sembra che il mondo si sia accorto adesso di qualcosa che avviene quotidianamente e rimane troppo spesso nascosto tra silenzi, paure, senso di impotenza, terrore. Harvey Weinstein è un produttore abusante. Abusante di corpi, di intimità e di potere. Ma di Weinstein, purtroppo, ce ne sono tantissimi ovunque. E non occupano solo posizioni di potere. Sono colleghi, parenti, vicini di casa, amici, sconosciuti, sono giovani e sono vecchi, sono ricchi o non ricchi, fanno i lavori più vari, vivono nel lusso o nella assoluta routine, si nascondono quasi sempre dietro facciate comuni, normali, insospettabili.

Sono la minaccia incontrollata contro cui le donne devono fare i conti, anzi sono solo una delle minacce se è vero che poi, oltre che da chi abusa e molesta, bisogna difendersi anche dai tanti, tantissimi complici, quelli a cui il Weinstein di turno dirà sempre grazie, anche dopo essere stato scoperto. Sono i minimizzatori, gli abusanti aggiuntivi, i violentatori culturali, quelli che alle vittime, oltre al dolore e all’umiliazione, addossano pure il peso di una colpa che non hanno ma di cui vengono accusate.  Così, anche nel caso in cui dovesse risultare evidente l’esistenza del fatto denunciato, questi abusanti aggiuntivi avrebbero già pronto un ventaglio di attenuanti per il molestatore o lo stupratore.

E tutte queste attenuanti, alla fine, si raggruppano nell’orribile giudizio sul comportamento “rischioso”, “incosciente”, “sconveniente” di chi ha subito. Ancora peggio, poi, se la vittima è una donna che vive una vita sessuale libera e disinibita. In quel caso non c’è spazio per giudizi diversi dal “se l’è andata a cercare” o dagli epiteti più noti e volgari che è facile immaginare. Insomma, se Asia Argento, per fare un esempio preciso, è una donna che non ha tabù e che magari pubblica delle foto sensuali sul suo profilo Instagram, ecco che immancabile arriva l’imbecille di turno (più di uno purtroppo e non solo di sesso maschile) a dire che se si pubblicano foto simili poi non ci si può lamentare di essere offese o definite in un certo modo.

Come se la molestia sessuale, lo stupro fossero legati alla sessualità. Come se l’essere una persona libera consentisse a chiunque di violarne la volontà e l’intimità. Insomma, il caso Weinstein non ha solo squarciato il silenzio, grazie a iniziative come #quellavoltache (di cui vi abbiamo parlato nell’ultima puntata di “Megafono Point” sulla nostra radio), in grado di raccogliere le denunce delle tante vittime di molestie e violenze, ma ha anche mostrato per l’ennesima volta la grettezza morale, umana, culturale di centinaia e centinaia di persone, soprattutto in Italia, incapaci ancora di comprendere cosa significhi rimanere vittima di un abuso a sfondo sessuale.

Ed è proprio questo esercito di belve sessiste che scoraggia le denunce e fa sì che i dati sulle violenze sessuali e sulle molestie in genere, nel nostro Paese, siano solo delle stime al ribasso, dal momento che esiste una ampia fetta di abusi non denunciati. Non essere creduti, sentirsi addossare, fino a crederle veramente proprie, le colpe che invece andrebbero riferite solo ed esclusivamente al molestatore/stupratore, ascoltare le voci infami di chi crede che se non hai la forza di denunciare subito allora vuol dire che eri consenziente: sono tutte armi che vengono fornite al carnefice e che scoraggiano la reazione, la richiesta di tutela e di giustizia da parte delle vittime.

Non è necessariamente l’assenza di una legislazione più attenta e credibile a negare questa giustizia, ma è soprattutto questa diffusa complicità culturale che confonde la vittima con il carnefice, mescola le responsabilità o addirittura le inverte. È questa sottocultura maschilista e sessuofoba, che fa sì che la libertà sessuale abbia valutazioni opposte a seconda che l’individuo disinibito sia uomo o donna, a rendere vulnerabile il sistema e a partorire l’appiccicosa ipocrisia di chi si sconvolge del numero incredibile di persone che oggi stanno trovando il coraggio di rompere il silenzio, nonostante la melma maleodorante e sessista di giornalisti, commentatori, sorci da tastiera vari.

Il web è una fogna popolata da esseri mostruosi, ma è anche lo specchio di una società che al suo interno contiene tutte quelle perversioni e quegli orrori umani che il grande Alberto Moravia descrisse con cruda perfezione e che purtroppo appartengono non solo a una borghesia decadente o ad una aristocrazia viziata ma alla società nel suo insieme, ad ogni livello e in ogni ambito.

Ed è per questo che la lotta che gli uomini e le donne che rifiutano gli attuali miseri modelli culturali sono chiamati a condurre, deve essere ad ampio raggio, dentro la società nel suo insieme, distruggendo solitudini, abbattendo tabù, dissacrando moralismi di ritorno e soprattutto tenendo uno specchio puntato sul proprio microcosmo geografico e culturale, dove centinaia di anonimi Weinstein si nascondono. Tra le mura di luoghi tangibili e vicini così come dietro schermi e tastiere di gente piccola piccola, conosciuta o sconosciuta che sia.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org