Con la crisi climatica e l’aumento delle temperature, anche in Italia c’è sempre meno neve e il turismo invernale è in difficoltà. Crescono gli impianti sciistici temporaneamente chiusi o aperti a singhiozzo, mentre si continuano a spendere milioni di euro per la neve artificiale, una pratica ormai diventata insostenibile secondo Legambiente. Nel suo report “Nevediversa 2024, il turismo della neve senza neve”, l’associazione sottolinea anche come il futuro sia sempre più incerto per le Olimpiadi Milano-Cortina 2026, tra ritardi, spese faraoniche e l’incognita neve nel 2026. Solo quest’anno sono saliti a 177 gli impianti sciistici temporaneamente chiusi (+39 unità rispetto al report precedente), di cui 92 sull’arco alpino e 85 sull’Appennino. Sono aumentate anche le strutture dismesse (da 239 del 2023 a 260 nel 2024), così come i bacini idrici per l’innevamento artificiale.
Se si guarda alle singole regioni, si scopre che i finanziamenti per la neve artificiale non accennano a diminuire. Solo in Piemonte, spiega Legambiente, date le temperature record di questa stagione (l’inverno più caldo degli ultimi 70 anni), i fondi erogati come contributi previsti per il biennio 2023-2025 ammontano a 32.339.873 euro (contro i 29.044.956 euro del biennio 2022-2024). In Emilia-Romagna, la stagione 2023/24 è iniziata con 4milioni e 67mila euro stanziati dalla Regione per indennizzare le imprese del turismo invernale danneggiate dalla scarsità di neve. La Regione Veneto, per il 2023, ha messo a bilancio un sostegno al settore sciistico pari a 3.292.738 euro, mentre in Trentino Alto Adige si continua a sostenere con fondi pubblici la creazione di bacini artificiali. La Lombardia, da parte sua, sta finanziando una molteplicità di opere e ampliamenti anche in vista delle prossime Olimpiadi invernali 2026, per un totale di molte decine di milioni di euro.
Ma, come sottolinea Legambiente, anche per le Olimpiadi 2026, la sostenibilità è un miraggio, la crisi climatica incombe con i suoi impatti, e poi ci sono i ritardi nei progetti e nell’avvio dei lavori, rialzi ed extra costi, gare deserte e offerte di impianti oltreconfine, ripiegamenti logistici su strutture più “light”, cantieri non ancora aperti e che, con molta probabilità, verranno completati a Olimpiadi concluse, con eredità pesanti per i territori e le loro comunità, oltreché per le casse pubbliche. Sono oltre 20 le opere più costose e che risultano finanziate con importo superiore ai 30 milioni di euro nelle tre regioni in cui si svolgeranno le gare, vale a dire Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige.
Insomma si continua a investire su strutture che andrebbero ripensate e in parte riconvertite, mentre si spende poco o nulla per la vera emergenza del pianeta, la crisi climatica. Investire su impianti destinati a essere dismessi e sulla neve artificiale non è la soluzione: al contrario, la creazione di nuovi bacini per l’innevamento comporta un consumo di suolo aggiuntivo in zone di pregio naturalistico, nonché un ingente consumo di acqua e di energia. Legambiente chiede quindi un cambio di rotta, a livello politico e territoriale, per un turismo invernale più sostenibile e dolce che rappresenti il futuro della montagna.
“Da parte nostra – commenta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente – non c’è alcuna contestazione nei confronti degli operatori del settore, ma più di un’obiezione contro la resistenza al cambiamento. Un inverno senza neve per questo mondo rischia di diventare un inverno senza economia e sbaglia chi continua ad affermare ‘abbiamo sempre fatto così’. Come per altre industrie del secolo scorso occorre avviare un processo di transizione trasformando e diversificando, puntando ad un turismo sostenibile e dolce. Il dialogo e il confronto con gli operatori del settore è fondamentale per contribuire a questo nuovo orizzonte di cui ha bisogno la montagna. Per questo nel report di quest’anno di Nevediversa abbiamo raccolto anche le testimonianze dei rappresentanti del mondo del sindacato, dell’economia e del settore impianti”.
Nel suo report, Legambiente propone pertanto buone pratiche già diffuse in tutto il Paese, che si caratterizzano per la capacità di innovare l’offerta turistica in armonia con la valorizzazione dell’ambiente naturale, delle professionalità a largo raggio, del patrimonio storico e architettonico nella sua unicità. Buoni esempi che possono dare corpo alle speranze delle comunità montane che giustamente rivendicano il diritto al benessere e a posti di lavoro stabili e dignitosi.
Redazione -ilmegafono.org
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