La V di vendetta, termine che introduceva il titolo della serie tv di Netflix sul duello Maniaci-Saguto, si è trasformata definitivamente in V di vittoria. La vittoria è quella di Pino Maniaci e della sua redazione, di quella Telejato che, da piccolo e cocciuto presidio di informazione libera a Partinico, è divenuta negli anni una realtà importante, capace di smascherare sistemi di potere enormi e radicati. Come quello gestito e guidato da Silvana Saguto, ex presidente della sezione delle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, la quale, per lucrare sui beni confiscati alla mafia o a imprenditori per i quali non vi era una accertata contiguità con ambienti mafiosi, si serviva di un pool di professionisti e collaboratori, tra i quali il marito Lorenzo Caramma e gli ex amministratori giudiziari, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara e il professore Carmelo Provenzano.
Un sistema che, dopo l’inchiesta-denuncia di Telejato del 2013, ha reagito con arroganza e durezza, ma che alla fine è stato scoperchiato, giudicato e condannato in via definitiva con sentenza emessa, il 19 ottobre scorso, dalla Sesta sezione penale della Corte di Cassazione. Come ha spiegato la stessa Corte, in un comunicato stampa, la sentenza “ha confermato la decisione della Corte di Appello di Caltanissetta, soprattutto per quanto riguarda i reati più gravi di corruzione e di concussione, dichiarando alcune prescrizioni per reati minori e procedendo ad alcuni annullamenti. Per effetto di questa sentenza la responsabilità di quasi tutti gli imputati principali è accertata in via definitiva e il rinvio alla Corte di Appello è funzionale a rivedere alcune posizioni e a rideterminare le pene”.
La pronuncia della Cassazione ha portato così la Procura generale di Caltanissetta a disporre l’arresto per l’ex magistrata, che dovrà scontare la pena di sette anni e dieci mesi per corruzione. Stessa cosa viene disposta per il marito Lorenzo Caramma, che dovrà scontare sei anni e un mese, e per gli ex amministratori giudiziari, favoriti dalla Saguto in cambio di regali e soldi. Questa la decisione della Procura di Caltanissetta, in quanto la Cassazione ha annullato solo una parte della sentenza di appello, rendendo invece definitiva la condanna per alcuni capi di imputazione. Adesso sono già iniziate le strategie degli avvocati, come quello di Silvana Saguto, che chiede la sospensione dell’esecuzione della pena e l’applicazione del regime dei domiciliari per la sua cliente, per via delle sue presunte cattive condizioni di salute. La documentazione medica, su disposizione della Procura di Caltanissetta, sarà trasmessa ai magistrati di sorveglianza, ai quali spetteranno valutazione e decisione.
Al di là di quella che sarà la sorte carceraria o domiciliare dell’ex magistrata, con questa condanna crolla definitivamente un sistema di potere che ha comandato all’interno di una sezione importante e delicata del Tribunale di Palermo. Una macchia pesante nella storia della magistratura siciliana, anche per la resistenza mostrata nel difendersi e nell’orchestrare un contrattacco nei confronti di chi aveva avuto la grave colpa di ledere la maestà della sua regina assoluta e di metterne a nudo il vizio più terribile per un magistrato, vale a dire la corruzione. Nei confronti di Pino Maniaci, il padre di Telejato che per primo ha aperto il vaso di Pandora della sezione delle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto aveva promesso vendetta. Lo aveva fatto durante una conversazione intercettata, affermando, dopo averlo apostrofato, che Pino Maniaci aveva le ore contate.
E così fu. Perché qualche mese dopo, lo stesso Maniaci venne coinvolto in una inchiesta e incriminato con accuse gravissime, prima fra tutti quella di estorsione. Un’inchiesta che, leggendo il fascicolo e mostrando su giornali e tg i frammenti video (non consecutivi, ma frutto evidente di tagli e montaggi) di un presunto incontro a scopo estorsivo, ribaltava l’immagine del coraggioso direttore di Telejato, del cronista dalla schiena dritta, in quella di un delinquente, con l’aggravante di essere un falso antimafioso. Un bugiardo. Quell’inchiesta fu accompagnata da una campagna di stampa ignobile (in quei giorni, ce ne occupammo molto su queste pagine), alla quale si aggiungevano le dichiarazioni sparse di esponenti dell’antimafia che, di colpo, dimenticavano il garantismo e anche la precedente credibilità che loro stessi avevano assegnato a Pino (leggi qui). Maniaci ha subito di tutto, dal divieto di dimora, umiliante e terribile, alla messa in piazza delle sue debolezze, di qualche bugia, di qualche atteggiamento sopra le righe.
Qualcosa che può anche entrare nel giudizio morale (ma troppo spesso moralista) su Pino Maniaci e che magari può renderlo fastidioso, irritante, antipatico a qualcuno. Non si può e non si deve piacere a tutti, naturalmente. Ma non è possibile trasformare tutto questo in un feroce e sbrigativo giudizio sulla sua onestà e sul lungo ed egregio lavoro, fatto di risultati e riscontri, suo, della sua famiglia, della redazione di Telejato. Se Pino, come tutti, non era e non è infallibile come uomo, sicuramente però non poteva e non può essere fallito come giornalista antimafioso. La sua assoluzione piena, peraltro, avvenuta nel 2021, non ebbe l’enfasi mediatica che ha avuto la sua precedente incriminazione. Così come la condanna di Silvana Saguto e il misero sgretolamento del suo sistema, non hanno reso la meritoria giustizia al lavoro della piccola emittente di Partinico. Anzi, in questi giorni la fine del sistema Saguto è stata raccontata senza fare alcun riferimento alle denunce di Pino Maniaci e di Telejato che, con la loro inchiesta, hanno innescato le indagini.
È imbarazzante, poi, leggere su questa vicenda gli articoli di celebri firme del giornalismo antimafia, che nemmeno menzionano Telejato e il suo direttore. D’altra parte sono le stesse firme che, all’epoca delle accuse a Maniaci, lo riempirono di fango, di fatto sputandolo via da quel mondo antimafia che, ancora oggi, dà invece credito a finti paladini, a personaggi magari più raffinati ed eleganti di Pino, che hanno fatto carriera semplicemente riportando i verbali di polizia o le carte passate dalle procure, peraltro su cose già note, e spacciando il tutto per grandi inchieste. Pino è stato estromesso dal palcoscenico di un’antimafia che, oggi, in buona parte non ha nemmeno il coraggio di chiedere scusa o quantomeno di riconoscere il lavoro egregio, importante, serio fatto da Maniaci e da Telejato sugli affari oscuri della sezione delle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e sulla sua decaduta regina.
Siamo alle solite: per qualcuno contano di più il carattere e l’eventuale simpatia o l’eleganza di un giornalista, che la sua effettiva capacità di inchiesta per poterlo ammettere o riammettere al club dell’antimafia. Dove purtroppo spopolano pensatori, personaggi vari e giornalisti-opinionisti, spesso rinchiusi nella loro antica fama, malinconicamente lontani anni luce da un’inchiesta, un articolo, una denuncia seria di qualsiasi tipo. Le scuse a Pino Maniaci non arriveranno mai, questo è sicuro ed evidente. E forse è proprio questo che dà ancora più ragione a Pino, a Telejato e al loro ottimo lavoro svolto sul campo.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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