Poco più di due settimane fa, Legambiente è stata ascoltata dalla IX Commissione del Senato. A rappresentare l’associazione c’erano Maria Maranò, della segreteria nazionale, e Lunetta Franco, presidente di Legambiente Taranto. Un’audizione nel corso della quale l’associazione ambientalista ha esposto le proprie considerazioni sulla situazione di Taranto e anche su alcune novità che il cosiddetto Decreto Salva Ilva (Decreto legge 5 gennaio 2023, n. 2) introduce e che sono considerate inaccettabili dai rappresentanti di Legambiente, i quali sul tema hanno presentato delle proposte di emendamento. Per prima cosa, sul piano dell’impostazione generale, Legambiente ha sottolineato la situazione paradossale per cui lo stabilimento di Acciaierie d’Italia oggi – e già quello Ilva prima – è da una parte definito “impianto di interesse strategico nazionale” e dall’altra escluso dall’elenco degli impianti per i quali la legge prevede la valutazione di impatto sanitario (VIS).
L’associazione ambientalista, inoltre, ha evidenziato la necessità di fare tutto ciò che è utile per scongiurare la possibilità che la produzione di acciaio si traduca ancora “in nuovi morti premature evitabili, da aggiungere alle tante in eccesso già rilevate fino ad oggi”. Va stabilito con chiarezza “se e quanto è possibile produrre con l’attuale assetto produttivo, e con quello futuro, senza rischi inaccettabili per la salute”. A tale scopo, Legambiente ha chiesto che, in sede di conversione del decreto, venga inserito l’obbligo di effettuare immediatamente, e con effetto vincolante sulla capacità produttiva massima dello stabilimento siderurgico, la valutazione preventiva di impatto sanitario secondo le linee-guida VIS definite dall’ISS, l’Istituto Superiore di Sanità, e adottate dal Ministero della Salute.
Sul piano giuridico, sono stati poi rilevati elementi preoccupanti, ingiustificati, che presentano anche profili di incostituzionalità. Secondo quanto afferma Legambiente, con il Decreto Salva Ilva, si introducono norme “che limitano l’autonomia dei magistrati, sia rispetto ai provvedimenti da adottare che alle modalità di esecuzione, e si sottraggono talune decisioni al giudice naturale precostituito spostandole al Tribunale di Roma”. Inoltre, si ripropone il cosiddetto “scudo penale”, già cancellato dal Parlamento nel 2019 prima che la Consulta potesse esprimersi sullo stesso: “riproporre oggi il medesimo (finanche peggiorativo) testo di legge – afferma l’associazione ambientalista – è assolutamente inammissibile, innanzitutto per l’ulteriore decorso del tempo, considerato che la prima censura, all’epoca avanzata e mutuata dai rilievi delle sentenze della Consulta, fu proprio quella della mancanza di un rigido arco temporale all’interno del quale provare a ipotizzare il contemperamento tra le esigenze produttive e i diritti fondamentali da esse compressi”.
Se tali disposizioni fossero confermate in sede di conversione del decreto, costituirebbero “una grave manomissione dell’autonomia della magistratura” e andrebbero “oltre ogni ragionevole bilanciamento tra l’interesse all’approvvigionamento di beni e servizi essenziali per il sistema economico nazionale, da un lato, e valori costituzionalmente garantiti come la salute, l’ambiente ed il lavoro, dall’altro”. Per tale ragione, Legambiente chiede la soppressione degli articoli 5, 6, 7 ed 8 del decreto. Alcuni giorni fa, intanto, anche l’associazione Genitori tarantini è intervenuta sulla questione, chiamando alla mobilitazione di piazza la cittadinanza e parlando di “immunità penale” e di “condanna a morte legalizzata” per i tarantini.
“Probabilmente sarà l’ultima manifestazione che organizzeremo – si legge nella nota dell’associazione – perché, se passa l’immunità penale per i gestori dell’Ilva, l’unica speranza che ci rimane è la Corte di Giustizia europea, dove finalmente siamo approdati. Dalla politica italiana, a tutti i livelli, sta per arrivare una nuova condanna a morte per il futuro, che verrà sottoscritta dal Parlamento entro il 5 marzo”. L’associazione, da anni impegnata a combattere e sensibilizzare sul tema degli effetti funesti dell’inquinamento sulla salute delle persone, pone una serie di domande (e fornisce una drammatica risposta) attaccando anche le istituzioni regionali e locali: “Quanti chili di sarcoma saranno espiantati dai nostri corpi, in questo insopportabile futuro? Quanti di noi si ammaleranno e moriranno finché la fantomatica decarbonizzazione del governatore di Puglia e del sindaco non si rivelerà altro che un alibi per continuare a produrre a carbone? E chi pagherà per le malattie e le morti fuori e dentro la fabbrica? Nessuno. Come sempre”.
Quindi, l’associazione Genitori tarantini si rivolge a tutte le forze e agli abitanti della città jonica, per chiedere che ci si mobiliti in massa per fermare questa condanna: “I tarantini devono scendere in piazza con noi, i medici devono scendere in piazza con noi, i commercianti, gli studenti, i mitilicoltori, i pescatori, gli agricoltori, gli operatori turistici, gli operai, mamme, papà, nonni, zii, bambini. E l’intera provincia. Tutti! Uomini della cultura e dello spettacolo devono affiancarci, fare sentire che sono anche loro contro questa condanna a morte della giustizia e dei tarantini. Tocca ai tarantini pretendere il rispetto dei propri diritti; tocca agli operai pretendere il rispetto della propria dignità. Non siamo ambientalisti; siamo cittadini italiani da sacrificare. Cittadini ‘usa e getta’. Dobbiamo solo decidere se tutto questo ci sta bene oppure no”.
Redazione -ilmegafono.org
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