Il 16 gennaio 2023 è una data da ricordare. Come il 15 gennaio 1993 e l’11 aprile 2006. Prima Riina, poi Provenzano, oggi finalmente Matteo Messina Denaro. Per chi considera il contrasto alle mafie una priorità quotidiana, per chi ha veramente nell’anima e nel cuore la storia della lotta per la liberazione dalla criminalità organizzata, il 16 gennaio è un giorno importante. Una data che va scolpita nella memoria collettiva, nella coscienza della parte più sana del Paese, negli occhi e nella mente di chi per anni ha lavorato per portare a termine una missione fatta di sacrifici, pazienza, dedizione, coraggio. Gli abbracci, le lacrime di un agente del Ros che si porta le mani sugli occhi che spuntano dal passamontagna e si piega per l’emozione, gli applausi della gente: sono scene che abbiamo già visto e rivisto e che scorrono sempre sulla nostra pelle con un brivido di libertà, o meglio di liberazione. Una gioia che, mi si consenta l’eccezione, per noi siciliani ha un sapore ancora più intenso, un significato più ampio, perché per noi rivedere quelle scene, vedere un boss tra le mani dello Stato, circondato da carabinieri e con intorno i cittadini che applaudono per la cattura, è un risarcimento, piccolo ma importante, per anni di sangue, lacrime e rabbia.

È una ricompensa per essere diventati, nostro malgrado, avanguardia antimafiosa prima di ogni altro. Un’antimafiosità che, nonostante le pecche, le liti, le menzogne, la retorica, gli errori che ne hanno incrinato le basi, le inchieste che hanno smascherato chi voleva farne un sistema, è ancora viva, forte, salda, popolare. Perché la lotta alla mafia è ragione e impegno, ma è anche sentimento, è l’emozione degli esempi, dei simboli e dei momenti simbolici. Antimafia è anche una foto che rimane impressa, la foto di un volto teso che svuota di potere la figura del catturato, lo riconduce alla sua miseria morale, ne irride la portata criminale. I volti di Riina, Provenzano e Denaro, nell’attimo della loro cattura, sono quelli di uomini da niente, la cui unica abilità è stata quella di essere feroci, ferini, sanguinari, al massimo furbi ma nulla più. Su questa malvagità hanno costruito un potere che si è alimentato con la codardia, l’ignavia e la corruttibilità servile dei complici, di chi ha costruito attorno a loro una rete di protezione massiccia e ricolma di filo spinato, sul quale si è lacerata per decenni la nostra democrazia.

Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993, ha avuto uno stuolo infinito di complici, che non erano solo “picciotti” con la lupara, affiliati, manovalanza, ma erano soprattutto professionisti, imprenditori, politici, funzionari. Non lo diciamo noi, lo dicono le inchieste che hanno smantellato pezzo dopo pezzo quel massiccio sistema di protezione, facendo terra bruciata attorno al boss e facendogli sentire sempre più vicino il momento della fine, rivelando quella parte della Sicilia, minoritaria e infame, che lo ha reso potente. Una parte, minoritaria e infame, che però da anni subisce la pressione degli inquirenti e della società civile. Nonostante il silenzio di buona parte della politica italiana sul fenomeno. Un silenzio funzionale a scelte legislative che ai mafiosi tornano sempre, in qualche modo, comode.

Una politica che oggi si sgranchisce le dita e scrive, posta, twitta, commenta la cattura dell’ultimo boss di alto calibro di cosa nostra ancora latitante. Un coro composito, con voci che non hanno la decenza e il decoro di tacere, di rimanere in un silenzio coerente con il loro assoluto disinteresse al fenomeno mafioso. Un coro ipocrita, come quello che viene da coloro che, da anni, si rifiutano di fare pulizia all’interno dei loro partiti, proponendo in Sicilia personaggi di ogni sorta, accusati anche di voto di scambio o vicini ad ambienti mafiosi. Leader che, in passato, hanno assegnato ruoli di primo piano a individui finiti in inchieste nelle quali si parlava di favoreggiamento nei confronti proprio di Messina Denaro. Leader di forze che oggi governano e che hanno appena prodotto misure normative (vedi il Decreto Rave) che in qualche modo rischiano di favorire qualche migliaio di persone, tra boss e affiliati di mafia, attualmente in carcere. Un coro ipocrita quello del mondo politico italiano che, tranne qualche eccezione, in questi anni ha completamente disertato la lotta alla mafia, ha messo da parte il tema, non ha fornito (ma anzi ha tolto o intende togliere) mezzi e strumenti adeguati agli inquirenti per poter svolgere al meglio quella lotta, ha sprecato tempo e risorse per combattere gli ultimi, i disperati e le persone che si occupano di solidarietà.

Lo Stato oggi festeggia, festeggiano giustamente e legittimamente carabinieri, poliziotti e magistrati, e anche attivisti e associazioni antimafia, cittadini e giornalisti che non hanno mai smesso di occuparsi di mafia. Festeggiano anche quei politici che, in questi anni, nelle istituzioni hanno lavorato per dare il proprio contributo alla lotta al crimine organizzato, cercando di indagarne le ramificazioni, di riconsegnare al Paese dei misteri qualche scampolo di verità e giustizia. Ne hanno diritto, pienamente. Chi non ne ha, invece, sono tutti gli altri, quelli che nelle ore della cattura di Messina Denaro si improvvisano antimafiosi, cercando di far dimenticare le proprie mancanze, l’inadeguatezza di chi ad esempio ha ritenuto e ritiene che i nemici dello Stato siano i migranti, Mimmo Lucano, le navi ong o i ragazzi che organizzano rave e non i mafiosi e i loro complici politici, economici, istituzionali. Una narrazione odiosa e nociva, vomitata ossessivamente su un popolo che, in parte, l’ha ingoiata senza alcuna resistenza.

L’ipocrisia è un costume radicato di questa nazione e non riguarda solo il mondo politico, ma anche alcuni magistrati e tanti giornalisti. L’ipocrisia, però, è facilissima da disvelare quando, per mesi e anni, altri hanno richiesto a gran voce di parlare di mafie e di agire, sbattendo contro silenzi e perfino azioni opposte. A questo coro di ipocriti, in questi giorni, si è aggiunto l’odioso ragliare dei complottisti. Quelli che stanno dando valore alla patetica narrazione (la solita, quando un esponente di calibro viene catturato) secondo la quale il boss si sarebbe lasciato prendere perché malato e quindi non sarebbe stato acciuffato per capacità dello Stato. Una supposizione che nasce dall’assoluta non conoscenza di quello che è stato il lavoro ininterrotto, in questi anni, degli organi inquirenti, e nasce anche dalle dichiarazioni di un personaggio in passato vicino ad ambienti mafiosi, che in una intervista a Giletti (no comment…), aveva “incredibilmente” previsto che Denaro (sempre più solo e braccato) sarebbe stato catturato. Una affermazione condita da una serie di supposizioni, buttate lì in modo ambiguo e prive di qualsiasi prova, riscontro, riferimento. Che ovviamente il giornalista in questione non si è curato di trovare.

La parola di un ex mafioso, dunque, nell’epoca dei complottisti da tastiera, diventa virale e più credibile del lavoro di polizia, carabinieri e magistrati. “È la nostra epoca, bellezza”, quella nella quale conta solo la sensazione o la frenesia di parlare di qualsiasi cosa, al di là delle competenze. Ci si può far poco. Quello che si può e si deve fare, invece, è ringraziare tutti coloro i quali in questi anni, sul campo, hanno lavorato per stanare e arrestare Messina Denaro. A potersi fregiare di questo grande merito sono solo loro: magistrati e soprattutto carabinieri e poliziotti, persone che per questo tipo di operazioni non solo rischiano, ma vivono per mesi e anni con un solo obiettivo, tra appostamenti sfiancanti, difficoltà, sacrifici, pedinamenti, studi, analisi, calcoli. Per poi magari sentirsi dire, ad esempio, che glielo hanno fatto prendere.

Sono questi lavoratori che, come quel 15 gennaio 1993 e quell’indimenticabile 11 aprile 2006 (quando il nostro sito era nato esattamente da due mesi e commentammo con le lacrime agli occhi quella notizia), ci hanno permesso di emozionarci e di sentirci felici, pur nella consapevolezza che, questo arresto, senza un’azione politica illuminata e senza la collaborazione (che difficilmente ci sarà) da parte di chi è depositario dei segreti di cosa nostra e dei complici della stagione stragista, non cambierà di molto le cose.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org