Si scrive mafia style, si legge oltraggio alla Sicilia, all’Italia e all’intero made in Italy. Negli ultimi anni, all’estero sembra essere scoppiata una vera e propria mania nei confronti di tutto ciò che riguarda o ricorda la mafia e i suoi personaggi. Dalla catena di ristoranti “La mafia se sienta a la mesa”, al whiskey scozzese “Cosa Nostra”, passando per il caffè “Mafiozzo” in Bulgaria, proseguendo per tanti, tantissimi altri prodotti agroalimentari che sfruttano il made in Italy. Un vero e proprio sbeffeggiamento nei confronti di una regione, la Sicilia, da sempre martoriata dalle mafie, alle quali per prima e con grande coraggio si è ribellata. Una ribellione che stona con questa odiosa e fasulla etichetta che altri le appiccicano sulla pelle. E non solo: in un periodo in cui la contraffazione è a livelli estremi e in cui il contrasto ad essa non riesce ad essere sempre immediato, un modello di business come il mafia style arreca un danno economico e di immagine a un Paese intero, stando ai dati che emergono ogni anno.
Secondo la Coldiretti, infatti, si stima che la contraffazione dei prodotti italiani e l’espandersi di un business come quello appena citato costino all’Italia ben 120 miliardi di euro e circa 300 mila posti di lavoro all’anno. Un salasso che non possiamo permetterci e di cui faremmo volentieri a meno. Dello stesso avviso sono, ovviamente, la stessa Coldiretti e Filiera Italia, le quali, insieme a imprese, cittadini e istituzioni, sono scese in piazza a Palermo, lo scorso weekend, in segno di protesta contro questo vero e proprio sfruttamento d’immagine (e non solo).
Proprio in occasione dell’evento, presso la sede del Villaggio realizzato dall’associazione dei coltivatori, è stata esposta per la prima volta una vera e propria “collezione” di tutti i prodotti agroalimentari venduti nel mondo con nomi, forme e immagini che richiamano fatti e personaggi tipicamente mafiosi.
Il tutto in barba alle persone che di mafiosi e mafia sono rimaste vittime. E in barba anche ai familiari di queste stesse vittime che, come se non bastasse il dolore che portano dentro ogni giorno, devono pure sorbirsi il frutto dell’avidità e della noncuranza di chi sfrutta la mafia e la sua orribile storia per lucrare e per infangare chi l’ha combattuta. “Lo sfruttamento di nomi che richiamano la mafia – ha affermato nel corso dell’evento il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – è un business che provoca un pesante danno di immagine al made in Italy, sfruttando gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose banalizzando, fin quasi a normalizzarlo, un fenomeno che ha portato dolore e lutti lungo tutto il Paese”.
“L’Unione Europea – ha aggiunto Prandini – deve fermare l’utilizzo commerciale di marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose, con un danno di immagine per il nostro Paese che rischia di penalizzare l’intero settore agroalimentare tricolore in un momento in cui le esportazioni hanno raggiunto il record storico, contribuendo alla ripresa del Sistema Paese”. A peggiorare la situazione, poi, c’è ovviamente la qualità di tali prodotti che è notoriamente bassa e che quindi rischia di rendere i consumatori insoddisfatti, nonché restii ad approcciarsi al mondo del made in Italy. Una beffa a trecentosessanta gradi. Va ricordato, però, che il pericolo non viene solo dall’estero, visto che anche in Italia e, nello specifico, in Sicilia la situazione non è molto diversa.
Non capita di rado, infatti, di imbattersi in negozi di souvenir sparsi in tutta la regione in cui sono presenti oggetti che richiamano a quello stesso mondo mafioso. Magliette, penne, pupazzi, cartoline: qualsiasi cosa rappresenti la Sicilia deve, in qualche modo, rappresentare anche la mafia. Qualcosa che al turista evidentemente piace. È un mafia style interno, questo, che ha del paradossale, ma che dimostra come in effetti porti beneficio economico ai venditori. Un beneficio per pochi, ma un danno, di immagine e culturale per tutti gli altri. Per fortuna, in Sicilia, non sono mancate azioni che hanno contrastato questa orribile tendenza commerciale. Un esempio è rappresentato dal Comune di Ragusa che, lo scorso anno, decise di bandire la vendita di qualsiasi oggetto inneggiante alla mafia (leggi qui). Segno, questo, che la Sicilia e i siciliani non accettano più da tempo l’etichetta della mafiosità, ma aspirano a essere riconosciuti e valutati per le bellezze che questa terra sa regalare. E di cui tutti, italiani e non, dovremmo essere fieri.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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