Lo scorso 16 febbraio, Israele è stata sconvolta da uno dei più grandi disastri ambientali degli ultimi 10 anni. 1200 tonnellate di catrame si sono riversate su oltre 160 km di costa dove migliaia di animali sono stati ritrovati, vivi o morti, ricoperti di bitume. Fin da subito, il governo israeliano, nella persona del ministro dell’Ambiente, Ghila Gamliel, ha espresso il proprio sconcerto per quanto successo. “Questa catastrofe è un chiaro segnale della necessità di liberarsi dal giogo dei combustibili fossili e completare la transizione verso il rinnovabile”, aveva commentato il ministro subito dopo l’accaduto. Parole e intenzioni che sono risultate in contrasto con quelle che invece sono le effettive politiche condotte dal governo israeliano che recentemente ha firmato degli accordi di collaborazione con gli Emirati Arabi Uniti per favorire il trasporto di petrolio verso l’Europa, mettendo a rischio, in caso di ulteriore disastro, la barriera corallina che sorge vicino al porto della città di Eilat.
Forse anche per questa ragione, alle indagini avviate dal governo per verificare le responsabilità dell’accaduto, sono seguite parallelamente quelle condotte privatamente da Greenpeace. Nei giorni scorsi, l’organizzazione ambientalista ha diffuso un primo aggiornamento ricco di notizie che, se fossero confermate, avrebbero del clamoroso. Secondo la ricostruzione, infatti, il disastro non sarebbe stato provocato da un malfunzionamento o da un incidente ma da uno sversamento deliberato e volontario da parte di una o più navi al largo della costa. A sostegno di questa tesi ci sono le immagini raccolte via satellite da Greenpeace che evidenziano come la macchia nera si fosse formata già circa una settimana prima, a 50 km dalla costa.
In merito a ciò, gli ambientalisti denunciano la mancata reattività delle autorità israeliane che avrebbero potuto confinare le dimensioni del disastro con un intervento tempestivo che, invece, è mancato. I diversi giorni trascorsi tra l’effettiva dispersione in mare del petrolio e l’intervento delle autorità alimentano il sospetto, a maggior ragione se si considera che il petrolio greggio è quello che solitamente si trasforma in catrame, come avvenuto in questa circostanza. Secondo la tesi di Greenpeace, dunque, lo sversamento sarebbe stato quasi certamente messo in atto per aggirare i costi di smaltimento del petrolio residuo.
Uno scenario che getta un’ombra ancora più grande sulle multinazionali del petrolio che pesano come un macigno sul bilancio ambientale del pianeta. E il problema ci riguarda da vicino! Aldilà dei cambiamenti climatici e del disastro per la flora e la fauna del mare, questo ecocidio, che si ripete ogni anno con decine di “maree nere”, ha reso il Mar Mediterraneo il mare più inquinato da idrocarburi al mondo. Una volta il Mediterraneo rappresentava la culla della civiltà e il centro del mondo, oggi invece è l’immagine perfetta del degrado dell’uomo e della sua miseria.
Vincenzo Verde -ilmegafono.org
La foto in evidenza è tratta dal sito di Greenpeace.
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