A Roma “non fu mafia, ma malcostume del nostro Paese”. Può essere sintetizzata in questo modo la sentenza della Cassazione che smentisce la Procura che, appena 12 mesi fa, si era espressa in ben altri termini. Mafia Capitale è stata sì Capitale, ma senza l’aggravante mafiosa: abbiamo sbagliato, abbiamo esagerato. Giornalisti, cronisti, cittadini romani e non: mettiamoci il cuore in pace (e mettiamoci pure una pietra sopra, bella pesante). La sentenza della Cassazione su un procedimento così importante quale è stato Mafia Capitale non può che lasciarci con l’amaro in bocca e preoccuparci non poco per i possibili risvolti che potrebbe avere.
Ma procediamo con ordine. Soltanto un anno fa, come dicevamo, al termine del maxi processo sul “Mondo di mezzo”, Massimo Carminati e Salvatore Buzzi venivano condannati con l’accusa di essere gli esponenti di spicco di una vera e propria associazione per delinquere di stampo mafioso. L’associazione, secondo l’accusa, si era contraddistinta per l’abilità con cui riusciva ad infiltrarsi nel mondo della pubblica amministrazione, degli appalti e persino della politica; non solo, per gli inquirenti la stessa organizzazione non avrebbe desistito dall’operare secondo un modus operandi tipico dei clan più noti, ossia con la “forza di intimidazione espressa dal vincolo associativo e la condizione di assoggettamento ed omertà” che contraddistingue gli ambienti puramente mafiosi.
Un vero e proprio sistema che per anni avrebbe fatto affari sulle spalle dei cittadini romani onesti, lucrando senza sosta e rallentando la crescita economica e sociale di quella che è una delle capitali europee più arretrate in assoluto (ma questo, forse, è solo un moto di indignazione da parte di chi a Roma ci vive davvero). Se, un anno fa, la sentenza della Procura sembrava porre fine ad un’inchiesta dalle dimensioni colossali (diversi gli esponenti politici arrestati o semplicemente coinvolti nell’organizzazione), oggi tutto ciò non sembra non avere più senso. O meglio: il sodalizio criminale è stato confermato, ma senza l’aggravante mafiosa. Una vera e propria beffa, questa, che ha delle implicazioni importantissime, visto che annulla persino una fetta dei risarcimenti previsti per diverse parti civili (tra cui alcune associazioni antimafia).
“Questa sentenza conferma comunque il sodalizio criminale. È stata scritta una pagina molto buia della storia di questa città. Lavoriamo insieme ai romani per risorgere dalle macerie che ci hanno lasciato”: così si è espressa Virginia Raggi, proprio colei che da qualche anno è al timone di una città disastrata, che sta ancora pagando il prezzo delle scorribande dei vari gruppi criminali che la opprimono. “Le sentenze si rispettano”, ha affermato il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, “ma le perplessità, i dubbi e le ambiguità permangono tutti”.
Insomma, se da un lato i condannati e le parti vicine esultano per un capovolgimento di fronte tanto inatteso ed insperato, dall’altro rimane la sensazione persistente di una sentenza sbagliata, una sentenza che fa male e inficia la credibilità della giustizia agli occhi del Paese. Come detto già da Morra, le sentenze vanno rispettate poiché la fiducia non dovrebbe mai mancare; allo stesso tempo, però, sarebbe ipocrita e altrettanto ingiusto fingere che vada bene così, che niente sia successo. Al di là delle sentenze, a Roma la mafia c’è, chi la vive lo sa bene, e quel di cui non ha bisogno questa città è ignorare o sminuire un problema tanto evidente e pericoloso.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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