Buenos Aires, Argentina. Allarmanti scene di guerriglia urbana si sono registrate, nei giorni scorsi, su uno dei più larghi vialoni al mondo, Avenida 9 Julio, nei pressi del Palazzo del Congresso, sede del parlamento e a un paio di chilometri dalla Casa Rosada, il palazzo presidenziale. Gli scontri sono stati piuttosto violenti: a lanci di bottiglie di vetro, petardi e pietre, le forze dell’ordine hanno risposto con un’inaudita violenza utilizzando proiettili di gomma, pistole spara-vernice, cannoni ad acqua e gas lacrimogeni. Il conflitto si è chiuso, per ora, con un saldo netto di oltre 150 feriti (tra cui anche rappresentanti delle forze dell’ordine e giornalisti) e una cinquantina di arresti.
Martedì 19 dicembre sono scesi in piazza anche i “cacerolazos” (manifestanti pacifici che esprimono dissenso percuotendo rumorosamente pentole e padelle, ndr) per protestare, insieme alle migliaia di persone che stanno manifestando ormai da tempo, contro la dibattuta riforma delle pensioni proposta dall’attuale governo di centrodestra sotto la leadership del presidente italo-argentino Mauricio Macri.
Sempre il 19 dicembre e contemporaneamente alla protesta che si svolgeva fuori dall’aula parlamentare, la controversa riforma sulle pensioni, già approvata precedentemente al Senato, è passata anche alla Camera dei Deputati dopo oltre 12 ore di dibattito, con 128 voti a favore, 116 contrari e 2 astensioni. La riforma, punto cruciale del programma di governo, mira a ridurre il deficit del Paese stimato al 5% del PIL nazionale, modificando la formula per il metodo di calcolo retributivo e aumentando l’età pensionabile, pur sempre in forma opzionale, da 65 a 70 anni per gli uomini e da 60 a 63 anni per le donne. Complessivamente la nuova legge prevede un taglio di cento miliardi di pesos (l’equivalente di quasi 6 milioni di dollari), andando a colpire oltre 17 milioni di persone.
Macri è salito alla guida del Paese, succedendo a Cristina Kirchner, dopo aver vinto le elezioni nel 2015. Sin dall’inizio, la sua politica ha spinto su posizioni neoliberiste piuttosto aggressive, molto diverse rispetto a quelle precedenti e, nonostante abbia implementato altre misure impopolari in questi due anni di legislatura, con i risultati positivi ottenuti alle ultime elezioni di metà mandato, ad ottobre (con un’affluenza del 78% degli aventi diritto!), il suo potere si è ulteriormente consolidato.
La presenza dei “cacerolazos” che si sono aggregati alle proteste di questi giorni fa venire in mente la drammatica crisi del 2001, quando il Paese andò in default con un debito di circa 100 miliardi di dollari. Ma ciò che dovrebbe molto preoccupare di questi tempi riguarda anche un’altro aspetto, autentico termometro della democrazia: la libertà d’espressione e le modalità con cui sono state gestite le proteste di massa degli scorsi giorni.
Solo una decina di giorni fa, a Sally Burch, giornalista inglese e direttrice dell’Agencia Latinoamericana de Información, che doveva partecipare all’11a Conferenza Ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), tenutasi dal 10 al 13 dicembre nella capitale argentina, è stato negato l’ingresso all’aeroporto di Ezeiza. La Burch, infatti, si è vista rimpatriare con il primo volo disponibile in Ecuador, paese in cui vive attualmente. La giornalista sarebbe stata fermata presso l’ufficio immigrazione dell’aeroporto e qualcuno le avrebbe riferito che il suo nome faceva parte di una sorta di black list.
Ma Sally Burch non è stata l’unica ad essere costretta a tornare indietro. Nella stessa occasione, infatti, anche l’attivista Petter Titland, rappresentante della ong “Attac Norge”, appena arrivato dalla Norvegia per partecipare al WTO, è stato immediatamente ricollocato su un volo per il Brasile. In tutto, una sessantina gli attivisti che, seppur accreditati precedentemente, sono stati banditi dal partecipare all’evento. Secondo quanto riportato da The Guardian, il ministro degli esteri argentino avrebbe dichiarato che le persone che si sono viste revocare l’accredito all’evento facevano parte di una lista di nomi segnalati per istigazione alla violenza sui social media con l’intento di generare caos e creare un clima di intimidazione. Accuse smentite immediatamente dopo dai diretti interessati.
Emblematico, infine, anche il recente allontanamento del popolare giornalista e telecronista sportivo uruguaiano Victor Hugo Morales (noto anche per la radiocronaca dei mondiali di calcio dell’86 in Messico), dalla redazione di C5N. Il canale fa parte del gruppo Indalo, alla guida del quale c’è Ignacio Jorge Rosner, imprenditore e amico di Mauricio Macri. Centinaia di argentini sono scesi in piazza per manifestare solidarietà a Morales, tra cui anche Roberto Navarro, un altro ex giornalista allontanato da C5N.
Qualcosa in Argentina sta succedendo, tutto sommato, ma sembra quasi che, chissà per quale misterioso motivo, le più recenti vicende passino quasi sottotraccia nella stampa italiana. Ma, come diceva Stanislaw Jerzy Lec, anche quando le bocche vengono chiuse, le domande rimangono aperte.
AdrenAlina -ilmegafono.org
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