A distanza di 25 anni dall’introduzione del regime carcerario duro (il cosiddetto 41bis) per i reati di associazione mafiosa e terrorismo, a Palermo, la settimana scorsa, è stata firmata una circolare che regola e rende omogeneo, una volta per tutte, il trattamento da riservare ai detenuti sottoposti a tale regime. Fino ad oggi, infatti, era la stessa norma a disciplinare in modo generico il trattamento in carcere e questo ha spesso creato disparità evidenti fra un istituto di pena e un altro, costringendo i tribunali di sorveglianza a intervenire di volta in volta a seconda del caso in questione, per chiarire ogni dubbio e sanare le disomogeneità, con il risultato peraltro di aumentare il già consistente carico di lavoro dei tribunali stessi.
Il provvedimento approvato nel capoluogo siciliano è stato realizzato grazie alla collaborazione del capo della Direzione Generale dei detenuti e del Dipartimento, Roberto Piscitello, del direttore del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Santi Consolo, e condiviso con Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Si tratta di un vero e proprio decalogo volto a regolare diritti e doveri dei carcerati (per lo più mafiosi), evitando non solo disparità di trattamento, ma soprattutto casi come quelli che vedono i boss acquisire posizioni di potere all’interno delle stesse carceri.
Le regole presenti nel decalogo sono diverse, ma fra tutte ve ne sono alcune decisamente più importanti o, in un certo senso, rilevanti, tra cui quella che regolamenta le visite dall’esterno e, nello specifico, il rapporto con i minori. Sono proprio i contatti con l’esterno che l’uso del decalogo cercherà non di diminuire, bensì di controllare con più fermezza: proprio negli ultimi anni, infatti, si è scoperto più volte come i capimafia fossero riusciti a gestire i clan e le relative mosse persino dall’interno di un istituto penitenziario, a volte con messaggi in codice, altre volte proprio grazie al contatto con elementi del clan durante le ore di visita.
A parte ciò, il documento prevede regole che fanno riferimento alla vita quotidiana in carcere: la possibilità di possedere libri, ad esempio, così come l’esistenza delle tv nelle celle e di specifici canali televisivi (solo nazionali); in più, i detenuti avranno la possibilità di utilizzare determinati oggetti per il bagno e la cucina (la maggior parte dei quali dovranno essere di plastica o, come nel caso delle forbici, con delle punte arrotondate). Il decalogo prevede però anche importanti diritti: fra tutti vi è un aumento della riservatezza nei confronti dei detenuti e l’obbligo dei direttori di ogni carcere di rispondere ad ogni richiesta entro un tempo prestabilito.
Insomma, la nascita del decalogo in questione non può che far ben sperare affinché migliori notevolmente la gestione, nelle carceri, dei detenuti più pericolosi e per questo maggiormente controllati. A tal proposito, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha voluto celebrare tale traguardo definendolo un vero e proprio passo in avanti nel “contrasto alla criminalità organizzata”, un contrasto che da oggi sarà “più chiaro nella cornice dello stato di diritto”.
“Lo Stato – ha detto Orlando – è tenuto a rispettare le regole anche quando è chiamato a contrastare i suoi peggiori nemici” e per tale ragione è stato necessario istituire un decalogo che eliminasse regolamentazioni fin troppo deboli e generiche.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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