La band di cui vi parliamo oggi è già ben inserita nel panorama progressive internazionale, con alle spalle una buona esperienza di concerti in Europa e Oltreoceano: sono gli Unreal City e ne hanno fatta di strada dal loro esordio discografico datato 2013 (il disco “La crudeltà di aprile”). Una strada che è proseguita bene e rapidamente, passando per il secondo lavoro (“Il paese del tramonto”) e arrivando all’ultimo album, appena sfornato (con l’etichetta Ams Records) e intitolato “Frammenti notturni”. Cinque tracce lunghe e intense, nelle quali la musica crea molteplici suggestioni.
Gli Unreal City risultano musicalmente convincenti con il loro rock progressive intervallato abilmente con piano, tastiere indiavolate, basso e chitarre. Ogni loro pezzo è originale per mescolanza di generi, durata, abilità compositiva e fantasia.
Nell’ascolto delle tracce, si parte da Festa in maschera, dove si assapora la scoperta amara che la vita forse è, per l’appunto, solo una grande “festa in maschera”, nell’attesa che il mondo crolli e ci renda liberi da questa condanna ad essere solo ombre. Bellissimi gli assoli di tastiera e di piano, stupendo il modo di aggredire il tempo e lo spazio con chitarre e bassi. In questo poliedrico ritmo e in questa danza, che da lenta diventa ritmata o perfino un pogo, ci si ritrova con i propri demoni, le proprie ansie e le proprie paure. Ci si trova aggrappati ai sogni sperando che reggano l’impatto con la realtà.
In Le luci delle case (spente), attraverso il violino prima e la chitarra poi, ci sembra di camminare all’esterno di case sconosciute, con le distorsioni e i suoni sporchi che ci appaiono come spigoli non calcolati. Intenso e avvolgente è ancora una volta il violino, che torna a farci non curare del dolore e continuare a reclamare vita sulle labbra grigie di una dea malata. Resta, tra le crepe, il calore delle luci delle stelle, quasi a tingere di infinito le miserie e il dolore umano. Emozionante la chiusura rabbiosa e disperata di questo pezzo.
Le canzoni di questo album sono come fiori rari e particolarissimi, si snodano in diversi minuti come a voler attraversare, con i loro petali sonori, ogni stagione. Ed è così che sanno descrivere in musica sia il colore vivido della primavera sia, con rabbia e sensibilità, il colore morente dell’inverno.
In Barricate deflagra la città e non restano che il fuoco e sagome tremanti ad animarla. Qui la musica denuncia la violenza e, in tanta distruzione, sa farci comunque trovare l’immensità e sa rinfrancarci da quel nulla. Il suono greve del basso detta l’incerto fluire della disperazione.
Ne Il nido delle succubi, piano e chitarre si sanno rincorrere e sedurre, al risveglio, nel fulgore dell’aurora, regalando un’identità precisa che non può perdersi in folle sconfinate o cedere al freddo in questo inverno che appare interminabile. E come un carillon stupendo, la vita torna a sorprenderci, distorta, accelerata, incontenibile, ma gioiosa e colorata ancora una volta, quasi a risvegliarci dalla bugia, quasi a farci capire, con un rock complesso e ricco, che siamo stati corrotti da religioni che vendono la luce ma nascondono, in ogni dettame, i demoni più famelici.
Nella quinta e ultima traccia (Arrivi all’aurora) ci sono theremin e dolcezza, un piano e una musica che pare scongelarsi, che pare ricolorarsi, nota dopo nota, di vita e meraviglia. Nella speranza finalmente che si possa vedere un sorriso, che finisca la pena e si arrivi all’aurora.
Gli Unreal City sono decisi, talvolta psichedelici, pieni e dolcissimi. Forse si perdono solo un po’ nell’affiancare le voci agli strumenti laddove la musica già riesce a descrivere pienamente l’angoscia di certe atmosfere. Ma ciò non intacca la bravura di questo gruppo e la grandezza della loro musica, del suo perdersi nel sordo abbandono per ritrovare in quello stesso smarrimento le risposte. Ci riportano con la mente ai mitici Goblin, al Banco del mutuo soccorso e a tanti gruppi che, negli anni ‘70, hanno fatto la storia del progressive in Italia o nel mondo, come i primi King Crimson.
Gli Unreal City (ascolta qui la puntata di “The Independence Play” a loro dedicata sulla nostra radio) sono belli e coraggiosi. Perché si propongono con la loro musica, la loro identità, aldilà dei canoni che oggigiorno vengono imposti per girare facilmente in radio.
FrankaZappa -ilmegafono.org
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