I nostri rifiuti galleggianti, quelli in plastica, per intenderci, hanno assunto proporzioni così evidenti da poter formare uno stato indipendente. Un’affermazione apparentemente azzardata e paradossale è la base della provocazione lanciata dall’associazione ambientalista Plastic Ocean Foundation che, insieme all’agenzia media LadBible, vuole portare all’attenzione dell’opinione pubblica il cosiddetto “Pacific Trash Vortex”. Si tratta dell’enorme macchia galleggiante formata dai rifiuti rilasciati in mare, compattatisi in un’unica grande isola estesa quanto la Francia a largo dell’Oceano Pacifico, tra la California e le Hawaii.
Questo particolare fenomeno è dovuto alle correnti dell’Oceano Pacifico, in particolare al vortice (o gyre) sub-tropicale che circola in senso orario. L’acqua si agita soltanto all’esterno, trascinando i materiali galleggianti verso l’interno che, nel corso degli anni e con l’accumularsi dei rifiuti, hanno dato vita al fenomeno in questione. Il danno ambientale è notevole, dato che le specie animali situate in quell’ecosistema tendono a nutrirsi anche di materie plastiche, estremamente nocive e inquinanti.
La questione messa in luce dalla Plastic Ocean Foundation è molto semplice: consultando la Carta di Montevideo sui diritti degli stati, è chiaro che se la grande estensione di materie plastiche che galleggia al largo del Pacifico fosse riconosciuta come stato indipendente, potrebbe godere delle norme di salvaguardia ambientale, procedendo così al suo smantellamento.
Un’iniziativa appoggiata anche da Al Gore, ambientalista di rilievo mondiale, già in corsa per la carica presidenziale americana e Premio Nobel per la pace nel 2007. Potrebbe essere proprio lui il Primo cittadino onorario della grande isola di plastica, la cui richiesta di indipendenza è stata anche presentata alle Nazioni Unite: potrebbe diventare il 196esimo stato riconosciuto a livello mondiale, pertanto sono già pronti simboli e bandiera, disegnata dal designer Mario Kerkstra.
Il dramma dell’isola di plastica mette in risalto l’estrema difficoltà di alcune aree dell’Oceano Pacifico, nel quale si contano atolli quasi completamente sommersi dai rifiuti e dalla plastica. L’estensione del problema aumenta di anno in anno, visto il rapido accumulo di detriti e rifiuti non biodegradabili. Gli ambientalisti avvertono i governi e le popolazioni mondiali: ben presto saranno necessarie misure molto più incisive di una semplice provocazione o raccolta firme, è l’assetto ambientale dell’intero pianeta che potrebbe cambiare. E le conseguenze potrebbero essere irreparabili.
Laura Olivazzi -ilmegafono.org
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